«Sono una madre, ma ridatemi il mio corpo»: l'editoriale di Silvia Grilli
L'altra sera, mentre ero a un importante appuntamento di lavoro, mia figlia continuava a telefonarmi chiedendomi di tornare a casa. Ho chiesto alle persone presenti: «Che cosa faccio? Vado o resto?».
Non una che mi abbia detto: «Resta, da grande capirà che stai lavorando». No, tutte mi hanno spronato ad andare e una ha sottolineato: «Una brava madre andrebbe».
Che cos’è una brava mamma? Se fossi rimasta sarei stata cattiva? Mi ha colpito la email di una lettrice di Firenze, che mi ha scritto: “Chi lavora, non ha nonni vicini e non può permettersi la baby-sitter, sarà la mamma più odiata degli asili nido e delle scuole dell’infanzia”.
È ancora la solita storia: come l’ha raccontata Sarah Jessica Parker in Ma come fa a far tutto?. Invece di dormire, la notte fai la lista delle mille cose da fare il giorno dopo, ma se poi ti confronti con le madri che fanno le torte a mano mentre tu le compri confezionate, finisci subito nella lista nera. Tra la mancanza di servizi sociali che aiutino, padri che non condividono il lavoro di cura, l’idea ancora diffusa che i figli siano compito esclusivo delle donne, ecco la solitudine e il caos in cui spesso ci troviamo. Non siamo confuse, siamo oberate. Provateci voi a tenere tutto insieme.
Il giudizio su che madri siamo ci rincorre da sempre. Ognuna di noi se l’è sentito addosso più o meno velatamente: che madre sei se lavori tutto il giorno fuori casa? Che senso ha mettere al mondo dei figli per poi lasciarli alla tata, ai nonni o agli asili? Che madre sei se esci la sera? Che madre sei se indossi la minigonna? Che madre sei se non nutri la tua bambina o il tuo bambino con cibi sani e genuini? Che madre sei se non lo porti a letto alle 21? Che madre sei? Che madre sei? Che madre sei?
Una mia amica incinta, che durante le sfilate della Settimana della Moda di Milano stava cercando per la ventesima volta un bagno, mi ha confidato di non sopportare quando le toccano la pancia: la creatura si rigira, le dà calcetti e a quel punto deve correre ancora più spesso alla toilette. Per quel che mi riguarda, cerco di trattenermi dall’accarezzare i pancioni, il corpo di quelle donne non è il mio. Eppure, quando si tratta di una madre, quel corpo diventa un bene collettivo su cui ognuno si sente in diritto di dire la sua. Sarà capitato anche a voi d’incontrare a gravidanza evidente degli sconosciuti che al supermercato vi fermano per spiegarvi che verdure comprare per avere una parto felice.
Nessuno si fa gli affari suoi di fronte a una madre, perché il corpo di una mamma appartiene a quella vaga cultura patriarcale piena di precetti che chiunque passi si sente in diritto di esplicitare. La mancanza di autonomia sul proprio fisico e sulle proprie decisioni sembra fare parte integrante della maternità.
Prendete per esempio l’allattamento. Ogni decade ha le sue regole su se sia meglio allattare o non allattare... Risultato: se lo fai perché ti piace non dirlo, altrimenti sembri un’egoista che agisce per propria soddisfazione. Se invece lo fai perché vuoi il bene della creatura sei proprio perfetta, perché così fa la brava mamma. Ma anche quando ti dedichi completamente ai figli, sbagli. Quante volte vi è capitato di sentire sulla pelle la disapprovazione del vostro compagno? Perché una brava madre deve anche appartenere al marito, fidanzato o partner. Adesso capiamo quando ogni tanto nostra madre piangeva in cucina o andava in escandescenza: voleva appartenere anche solo per un momento a se stessa.
È quando diventi mamma che provi quella strana sensazione che il tuo corpo non sia più il tuo ma del tuo compagno, dei tuoi figli, di qualcun altro che se lo sta divorando, e quando cerchi di riprendertelo sei considerata egocentrica. Ma solo quando lo riavremo indietro e infrangeremo i precetti non piangeremo più da sole come le nostre madri.
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