«Salviamo le nostre figlie»: l'editoriale di Silvia Grilli
Dopo ogni mio editoriale sui femminicidi, qualcuno commenta: “Che noia!”. In quel momento mi chiedo se valga la pena continuare a scriverne o sia inutile, tanto siamo assuefatti da vicende sempre uguali: lei che subisce violenze per anni, lei che lo lascia, lui che le spara, poi si suicida. Però, immediatamente dopo, mi dico che bisogna insistere nel parlarne per sperare di cambiare la mentalità degli uomini e anche delle donne in questo Paese. Così sono ancora qui, senza smettere di sconvolgermi dopo quanto è accaduto a Castelfiorentino, in provincia di Firenze: l’assassino ha sparato a bruciapelo alla moglie in strada, poi si è tolto la vita.
«Sarai mia o di nessun altro», diceva Alfred Vefa all’ex sposa Klodiana, 36 anni, dopo aver maledetto di averle concesso il divorzio. “Con una come te l’amore non finisce mai”, aveva scritto tempo prima sui social, e potrebbe quasi sembrare una frase romantica. Invece è solo possesso; l’abbandono lo ha devastato al punto di sentire l’urgenza d’ucciderla davanti a tutti per dimostrare a se stesso di essere lui il vincitore, anche a costo di suicidarsi subito dopo.
Qualche giorno fa la figlia di un’amica mi ha raccontato del suo fidanzato. Mi ha confidato, emozionata, di non aver mai visto nessuno innamorato come lui. Lui le dice più o meno le stesse frasi di Alfred Vefa: «Sei mia e di nessun altro», e le sue compagne di scuola sono invidiosissime. Rispondendo alle mie domande, quell’adolescente, a cui voglio molto bene, mi ha rivelato che lui le controlla il cellulare, lei non ha più amiche perché le vieta di uscire, le impone di vestirsi come vuole lui, le sussurra che è troppo emotiva... Però quanto la protegge e la ama, sostiene lei...
Credo che in questi casi sia mio dovere impicciarmi dei fatti degli altri. Ho parlato con la mamma della ragazza. Mi ha detto che il fidanzato della figlia è tanto carino, però la sua bambina si sta isolando da tutto. Vive per lui, fa solo quello che vuole lui: «Ma è il primo vero grande amore, non c’è da stupirsi...», ha aggiunto quella madre.
Davvero non c’è da sorprendersi? Possiamo considerarlo amore o invece quella ragazzina sta crescendo incastrata in una relazione che non le fa bene? Possiamo giustificare la possessività perché non si vuole perdere la persona amata? «Tu sei mia», «tu sei mio», sono le parole che si usano. Ma il senso del possesso non è amore: è controllo, voler gestire la vita di un’altra persona privandola della libertà.
Spesso l’esempio sbagliato è dentro case dove il padre è ancora il capo-famiglia che decide come spendere il denaro, che cosa vedere, dove andare. La madre quasi sempre svolge tutto il lavoro domestico, sente di valere meno, tutta l’attenzione è sull’uomo che porta i bambini dalla sua parte e costruisce la realtà. I ragazzi cresciuti in queste case non hanno gli strumenti per comprendere che il possesso è sopraffazione, non è amore. È necessaria una delicata educazione ai sentimenti.
In uno dei suoi ultimi post sui social, Klodiana Vefa aveva scritto “Se un uomo si aspetta che una donna sia un angelo nella sua vita, deve prima creare il paradiso per lei. Perché gli angeli non vivono all’inferno”. Un altro post letto ora suona drammatico: “L’amore coglie sempre un po’ di sorpresa. C’è chi ne resta sopraffatto e alla fine fugge...”. Quello non era amore e lei non ce l’ha fatta a fuggire.
Salviamo le nostre figlie dalle prigioni spacciate per sentimenti. Educhiamo con l’esempio i nostri figli, sia maschi sia femmine. Spero che tu legga queste righe, mia adolescente adorata che credi che quel ragazzo sia l’unico scopo della tua vita.
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