«Quei bravi ragazzi stupratori»: l'editoriale di Silvia Grilli
Sono sempre tutti dei gran bravi ragazzi. Anche i sette giovanissimi egiziani che hanno stuprato una tredicenne catanese davanti al fidanzato di lei, costretto a guardare.
Gli operatori della comunità che li ospitava li descrivono come «giovani normali, con relazioni sane». Dicono che «mantenevano legami con la famiglia d’origine e andavano in parrocchia». Uno di loro viene raccontato come «una persona dolce, che ha sempre mostrato desiderio d’impegnarsi».
Salvo che il 30 gennaio, a Catania, hanno circondato una ragazzina, l’hanno stuprata in un bagno pubblico, tenendo fermo il fidanzato. Lei non aveva mai avuto rapporti prima. Li implorava di non farle male. Loro continuavano, ridevano, s’incitavano l’un l’altro e le dicevano: «Stai buona». Eppure erano, come sentiamo dire costantemente, «insospettabili».
Bravi ragazzi come Filippo Turetta, che con Giulia era talmente cattivo con le parole e coi gesti da farle paura, infine l’ha straziata a coltellate, lasciata morire per dissanguamento, ricoperta di sacchi di plastica nera e nascosta in un bosco. Un bravo ragazzo che non farebbe male a una mosca, ma a una donna sì. Bravi ragazzi come i «dolci papà» che ammazzano mogli e figli perché non possono vivere senza di loro e allora da “capifamiglia” fanno fuori tutti.
Bravi ragazzi come vengono descritti Ciro Grillo e Leonardo Apache La Russa, accusati di violenze sessuali. Ma sono le vittime quelle considerate cattive, o almeno poco credibili. Ragazze interrogate sulle loro abitudini sessuali, come la vittima dello stupro di gruppo di Palermo dell’estate scorsa. Ragazze alle quali (processo contro Grillo) viene chiesto: «Perché non ha usato i denti?», «perché non si è divincolata?», «perché non ha urlato?». Giovani donne alle quali viene rinfacciato (indagine contro La Russa) di aver avuto rapporti sessuali sotto effetto di sostanze stupefacenti. Come se il comportamento di un bravo ragazzo non fosse riaccompagnare a casa una persona non presente a se stessa, invece di liberare con disinvoltura la «naturalezza primordiale dell'amplesso».
Tutti bravi ragazzi con chiunque, tranne con le donne. Donne su cui sfogarsi per il branco a Catania. Donne di proprietà per assassini come Turetta. Uomini che crescono con l’idea, maturata quasi sempre nelle famiglie, che lei, quando diventa prima fidanzata poi moglie, è roba tua.
Intanto noi passiamo, con la disinvoltura degli spettatori, da un caso efferato all’altro, da una vittima all’altra. L’ultima aveva 13 anni. «Povera ragazza», ripetiamo e finisce lì, come se fossero casi estremi, non un sistema strutturato nella nostra e nelle altre cosiddette “culture”.
Perché ognuno di questi bravi ragazzi viene educato, con minori o maggiori gradi di disprezzo, a non rispettare le donne. Non sono mostri, l’abuso non è sporadico od occasionale. L’abuso è la normalità per gli stupratori egiziani e per quelli italiani. Magari non le ammazzi, ma ti trastulli, facendo di loro quello che vuoi.
A nessuno di chi detiene l’informazione di potere in questo Paese interessa qualcosa delle vittime. Importa solo strumentalizzarle per fini politici. Attaccano gli stupratori egiziani per condurre una battaglia da destra contro l’immigrazione. Attaccano i figli di La Russa e Grillo per dare addosso ai padri da sinistra e destra. Attaccano la famiglia di Giulia Cecchettin perché sembra far comunella con chi è contro Giorgia Meloni. Conducono campagne per i centri antiviolenza solo per colpire il Governo e i suoi tagli. Il solito derby, ma a nessuno preme realmente nulla di chi muore o viene stuprata. Perché alla fine, in fondo, la donna se l’è sempre un po’ andata a cercare.
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