«Quando perdi il lavoro e quando lo ritrovi»: l'editoriale di Silvia Grilli
Nel 2006 sono stata per la prima volta direttrice di Grazia, cambiandola radicalmente: inserendo le notizie, la stretta attualità, i personaggi in copertina. Una mutazione troppo rapida. L’editore, allora Mondadori, decise di tornare alla tradizione. Ritenne che le lettrici e i lettori non fossero pronti. Fui rimossa dall’incarico e mi trasferii a New York per fare l’inviata di tutte le testate della stessa casa editrice. Rientrai in Italia come vicedirettrice di Panorama. Nel 2012 l’editore mi chiese di tornare alla testa di Grazia.
Racconto questo perché mi ha colpito la parabola di Alessandro Michele, nuovo direttore creativo di Valentino. Come sapete, Michele è stato per sette anni lo stilista di Gucci, dove ha compiuto una rivoluzione: nell’estetica, nella filosofia del marchio, nel costume con una moda senza generi, né maschile né femminile, ma entrambe. Una trasformazione sociale e culturale che ha fatto di lui un’icona globale, con enormi risultati di vendita: il fatturato è triplicato. Poi nel 2022 il divorzio dalla proprietà, il gruppo del lusso Kering.
E proprio Kering, che possiede il 30 per cento di Valentino e nel 2028 lo controllerà, ora lo ha richiamato. «Sono certo», ha detto il presidente del colosso francese, François-Henri Pinault, «che con il suo talento eclettico saprà interpretare magnificamente la tradizione unica di questa splendida maison».
Ha scritto il nuovo direttore creativo: “Oggi cerco le parole più adatte per dire la gioia, per renderle omaggio: i sorrisi che scalciano in petto, il senso di profonda gratitudine che accende gli occhi. La gioia è però cosa talmente viva che temo di ferirla, dicendola”.
Non so nulla di come abbia vissuto questi ultimi due anni Michele. Credo si sia nutrito l’anima di bellezza che porterà nella sua nuova avventura. Ma so che cosa prova la maggioranza di chi perde un lavoro: dolore, frustrazione, perdita di fiducia in se stessi, mille domande, tante notti insonni, innumerevoli episodi che ripassano davanti. Io sono stata fortunata. Non l’ho perso. Ne ho trovato un altro bellissimo, ma dapprincipio lo choc è stato forte. Se non avessi avuto mio marito accanto sarei stata ancora peggio.
In pochi lo ammettono. Anche nei comunicati ufficiali di grandi case di moda ed eccellenti stilisti ci si lascia sempre ringraziandosi a vicenda ed esaltando le reciproche qualità: il bello che c’è stato, mai il brutto delle rotture. Ma la rabbia c’è, il senso di fallimento anche, l’idea di non avere più speranza, la caduta della stima in se stessi, il clima familiare che si carica di tensioni.
Perdere un lavoro è una delle esperienze più traumatiche della vita. Le nostre professioni sono molto più della maniera con cui guadagnarsi da vivere. Influenzano la nostra visione del mondo e il modo in cui gli altri ci vedono.
Un mio amico, che era amministratore delegato di un’azienda e ha perso il posto, mi racconta sempre molti aneddoti: della montagna di regali che riceveva a Natale e ora neanche uno, delle persone che gli chiedevano favori e ora lo scansano per paura che i piaceri glieli chieda lui, del suo senso di inadeguatezza nel partecipare a eventi pubblici perché oggi non ha più quel ruolo prestigioso. Gli uomini soffrono la perdita più delle donne. Il lavoro definisce la loro identità. Per noi, costrette nella storia a una vita privata e non pubblica, il senso di sconfitta è meno devastante.
Ma tutti, sia uomini, sia donne, vengono aggrediti dal dolore. Eppure non importa quante volte cadi, conta rialzarsi. C’è quella qualità che si chiama “resilienza”. È la più difficile. Risollevarsi ha bisogno di coraggio, ma arriva sempre il momento in cui ti rendi conto che la vita va avanti, che quei conti e quella rabbia sono stati regolati.
Probabilmente non c’entra nulla tutto questo con Alessandro Michele. Com’è scritto all’inizio o alla fine di ogni film, “ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale”. Però io qualcosa di tutto questo l’ho provato.
E mi piace concludere con ancora le parole di Michele: “Che basti il mio inchino a braccia spalancate per celebrare, in questo inizio di primavera, la vita che rigenera e la promessa di nuove fioriture”.
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