Maya e l'amore che brucia
Nel film Il paradiso del pavone, Maya Sansa subisce l’attrazione per un ex. Ma qui l’attrice spiega perché senza complicità la passione da sola non basta
All’ultimo festival di Cannes, il film francese Revoir Paris diretto dalla regista Alice Winocour è stato accolto da una standing ovation. Nel cast, c’è anche Maya Sansa, nel ruolo di una donna italiana che «dopo un attentato a Parigi dà vita a un’associazione per i parenti delle vittime». Un attacco terroristico non meglio precisato, ma simile a quello al ristorante Le Petit Cambodge, avvenuto a Parigi il 13 novembre 2015 e che, nella realtà, si trova a una ventina di minuti dalla casa dove l’attrice vive con il compagno, l’attore canadese Fabrice Scott, e la loro figlia Talitha, di otto anni.
Non si sa ancora quando Revoir Paris uscirà al cinema da noi, nel frattempo, però, il 16 giugno arriva nelle sale un altro film con Sansa, Il paradiso del pavone, presentato allo scorso festival di Venezia. Una storia che si svolge durante un pranzo in famiglia per festeggiare il compleanno della madre (Dominique Sanda), al quale partecipano il figlio (Leonardo Lidi), sua moglie (Alba Rohrwacher), la loro bambina, e la figlia, la Sansa appunto, con il suo ex e la nuova fidanzata di lui. Nessuno toccherà cibo ma il trambusto provocato dalla presenza dell’uccello, condurrà a un’importante rivelazione.
Per Sansa, il film è stato un’occasione per ritrovare la Rohrwacher, un’amica con la quale aveva già diviso la scena in L’uomo che verrà di Giorgio Diritti e La bella addormentata di Marco Bellocchio. E per collaborare per la prima volta con la regista Laura Bispuri.
Con una regista c’è più complicità?
«Mi sono trovata molto bene con Laura e con tutte le registe con le quali mi è capitato di lavorare, forse perché hanno una maggiore libertà nell’esplorare l’universo femminile. Ma, in generale, la complicità fra donne io la vedo poco. Ho due amiche, mamme entrambe, che sono state mobbizzate dalle loro cape senza figli in nome di una forma perversa di femminismo secondo cui noi donne dovremmo ancor più degli uomini dimostrare di non farci influenzare dagli impegni familiari».
Il suo personaggio è una donna indipendente, forte.
«Spesso i registi mi identificano con ruoli solari, materni. Mentre qui sono una donna poco empatica. Un po’ divertita e un po’ infastidita dalla presenza del suo ex, un uomo che si è lasciata alle spalle, ma verso il quale prova un’attrazione fisica ancora fortissima».
La passione può sopravvivere all’amore?
«Credo che in una relazione, la complicità e il senso di appartenenza, col tempo, assumano un ruolo sempre più importante. Da ragazza mi è capitato di provare attrazioni travolgenti, fiammate che hanno lasciato solo cenere, perché oltre l’attrazione fisica non c’era il desiderio di costruire niente».
Anche lei ha inseguito con ostinazione la sua carriera di attrice. Era solo una ragazza quando ha lasciato l’Italia per studiare recitazione in Inghilterra.
«Dopo la maturità mia nonna mi aveva regalato un soggiorno di tre mesi a Cambridge per studiare inglese. Una volta finito, invece di tornare e iscrivermi a Giurisprudenza come era nei piani, mi sono trasferita a Londra e ci sono rimasta per cinque anni. A quel punto dovevo mantenermi da sola. Ma, siccome in testa avevo l’eco delle parole della nonna: “Se fai la cameriera impari solo i nomi dei piatti”, il primo lavoro che cercai fu quello di mascherina in un cinema».
Sua nonna è stata una figura importante nella sua vita?
«Lo è ancora. Ha 93 anni. L’anno scorso ha avuto un problema al cuore e tutti mi dicevano: “Preparati a lasciarla andare”. E, invece, si è ripresa, e sta benissimo. Da bambina mi dividevo fra casa di mamma e di nonna. Mia madre mi ha avuta a vent’anni, con lei vivevo in un ambiente pieno di ragazzi della sua età. Mi portava alle feste, ai concerti, era tutto allegro, un po’ caotico e, a volte, mi sentivo persa. Mentre nonna era una presenza rassicurante, da lei sapevo che avrei trovato due calzini dello stesso colore. La maestra delle elementari mi diceva: “Quando ti veste la nonna sembri una principessa, quando lo fa mamma sembri una zingarella”».
Che lavora faceva sua madre?
«Un po’ di tutto. Creava gioielli, magliette con l’aerografo, ha fatto la modella per gli studenti dell’Accademia di Belle arti. Adesso fa la dog-sitter».
Una figlia degli anni Sessanta.
«Esattamente. E verso i 12, 13 anni ho cominciato ad apprezzare il fatto di avere una madre così alternativa. Mi piaceva stare con i suoi amici e i miei coetanei un po’ invidiavano la mia libertà. Mamma non mi ha mai imposto grandi regole».
Lei con sua figlia ha cercato di trovare una via di mezzo?
«Non sono una mamma perfetta, però ho fatto il possibile per prendere il meglio sia di mia madre sia di mia nonna. Fabrice è un papà presente, solido. Io aggiungo un po’ di caos».
Come?
«In Francia, parlando in generale, hanno una concezione dell’educazione dei figli diversa dalla nostra: i bambini fanno la vita da bambini, gli adulti da adulti. Alla sera, i piccoli mangiano prima, alle otto e mezzo sono già a letto. Noi, invece, Talitha ce la portiamo fuori a teatro, a cena. Inoltre, con una madre attrice non c’è una routine precisa, lei sa che il mio lavoro può portarmi lontano per un po’ ma anche che quando non ho impegni sto con lei tutto il tempo. E se c’è l’occasione giusta viene con me. Che è quello che faremo quest’estate, visto che ho tre mesi di riprese in Puglia per una miniserie Tv che s’intitola Sei donne».
Pensa che da grande anche Talitha farà l’attrice?
«Adesso è nella fase in cui dice “assolutamente no”. Le piace cantare, sta prendendo lezioni di chitarra e vorrebbe fare il medico. Ogni tanto mi chiede: “Secondo te posso fare il chirurgo e la cantante rock?».
© Riproduzione riservata