Marco D’Amore: «Il mio viaggio nel cuore del male»
Per tutti Marco D’Amore è lo spietato boss della malavita della serie tv Gomorra. Al cinema, invece, lo vediamo dalla parte dei buoni, in un film denuncia sugli effetti dell’amianto a Casale Monferrato. E qui l’attore racconta di sé e spiega come riesce a farci sentire vicini a personaggi
tanto diversi
Buffa la vita. Passi anni a servire ai tavoli, a fare volantinaggio e numeri d’artista per strada e nessuno ti considera. Poi capita che interpreti una serie di successo e, di colpo, non riesci a fare un passo fuori casa che tutti ti rincorrono per una foto. «Preferirei mille volte una bella chiacchierata a un selfie», mi dice con il sorriso di chi ne ha passate tante Marco D’Amore, 34 anni, mentre sgrana gli occhi grandi e curiosi. Deve la sua fama a Ciro Di Marzio, boss della malavita protagonista della serie Gomorra, la cui nuova stagione è attesa in tv nel 2016. Intanto si è dato al cinema: è nelle sale con Un posto sicuro, in cui interpreta l’ipersensibile Luca, l’esatto opposto del macho Ciro. Uno crede nel dialogo, l’altro pratica la violenza. Uno indaga sul dolore di chi si ammala a causa dell’amianto, l’altro sparge sangue. Nel mezzo c’è Marco D’Amore, che nella vita preferisce starsene per conto suo, nella casa di Caserta, con la fidanzata Daniela Majorana.
Le donne, mi racconta, hanno plasmato tutta la sua vita: «Sono stato cresciuto da mia nonna, ho una sorella più grande di otto anni che è il mio punto di riferimento e ho una madre che amo. Ormai, se sto troppo tempo con gli uomini, m’inaridisco».
Si riconosce un tipo di sensibilità più “femminile”?
«Senza dubbio. Ho la passione per l’ascolto, l’approfondimento, il confronto, l’attenzione al piano emotivo. Non a caso, tra tutti i registi che hanno diretto gli episodi di Gomorra, il rapporto più profondo ce l’ho con Francesca Comencini: ha una sensibilità vicina alla mia».
Quindi se Daniela restasse incinta, la preferenza per il sesso di vostro figlio sarebbe scontata...
«Non mi ci fate pensare, non vedo l’ora di diventare padre. Vorrei cinque o sei figlie, non una sola».
Che tipo di donna l’attrae?
«Faccio prima a dirle che tipo di donna mi ha attratto: Daniela è una persona equilibrata, è il mio termometro. Con lei condivido tanto. Sa in che modo amministro la mia vita professionale, mi capisce pur facendo un altro lavoro, sa starmi accanto e lo fa alla grande da ormai cinque anni».
Come gestite la distanza, quando lei è sul set per diverse settimane?
«Il nostro è un rapporto fatto di piccoli appuntamenti, anche fugaci. Appena possiamo, ci vediamo ovunque e condividiamo ogni emozione. Delle fan non è gelosa, ma dei nostri momenti sì: quando chiudiamo la porta, o facciamo un viaggio, non esiste altro che “noi”».
A proposito di viaggi, la attendono mesi di promozione: prima il “tour da rockstar” che ha detto di voler fare per Un posto sicuro, poi la promozione di Gomorra 2.
«Tengo molto a entrambi i progetti. Nel primo caso, il film è straziante e commovente: parla di uomini e donne semplici, messi di fronte a grandi dolori e grandi scelte. La gente di Casale Monferrato conosce da vicino il dramma dell’Eternit: ha ospitato la più grande fabbrica di amianto d’Europa e ha dimostrato dignità incredibile nell’affrontare il dramma delle malattie causate da quella sostanza. Per questo mi batterò in prima persona: spero di parlarne il più possibile».
Luca, il personaggio che interpreta, è un buono. Ma fino a che punto?
«È un 30enne che sogna di fare l’attore e finisce per fare il pagliaccio alle feste, con il dono di incantare tutti. Quando il padre (interpretato da Giorgio Colangeli, ndr) si ammala di tumore per colpa dell’amianto, scopre quello che è successo a Casale Monferrato. Abbiamo scelto di raccontare la storia di un ragazzo come tanti, inconsapevole della realtà che vive: nessuno di noi approfondisce, crediamo di sapere tutto e non è mai così».
Lei ha frequentato lo stesso liceo dello scrittore Roberto Saviano, l’autore del bestseller Gomorra (Mondadori): la passione per l’impegno civile viene da lì?
«Magari. Al liceo ero un casinista: saltavo da una classe all’altra, gli insegnanti non mi sopportavano. Roberto, invece, era più grande di me e aveva già il profilo del ragazzo impegnato: era nel gruppo dei rappresentanti dell’istituto. Avevo un’immagine mitica di lui. E poi, a quei tempi, eravamo capelloni tutti e due».
Com’è stato l’ultimo giorno di riprese di Gomorra?
«Convivere nove mesi con un personaggio non è poco e l’ultimo ciak è un’emozione pazzesca: saluti i tuoi compagni di viaggio con cui hai condiviso a lungo dubbi, perplessità, gioie. Sentiamo tutti la responsabilità per questa seconda stagione, sulla quale ci sono molte aspettative, ma so che sarà sorprendente».
Ovvero?
«Non ripercorre le orme della prima, alza il tiro, approfondisce la psicologia dei personaggi: là dove la prima stagione raccontava il mondo in cui i boss si muovevano, la seconda stringe la lente e va dentro il cuore e la mente dei protagonisti».
Ciro è cambiato?
«Lo troverete invecchiato. Questi malavitosi sanno che avranno una vita breve e per loro il tempo passa a una velocità maggiore rispetto a un’esistenza normale.
C’è qualcosa di Marco in Ciro?
«Il piglio deciso. Quando prendo una strada vado dritto e non mi ferma nessuno».
Non teme che l’ondata di successo possa passare?
«Nel 2001 facevo spettacoli teatrali con l’attore Toni Servillo e un pubblico di sette persone: l’ho visto andare alla notte degli Oscar. Mi spaventa solo pensare a un futuro senza lasciare il segno».
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