Luca Marinelli è l’attore italiano che viene sempre scelto per interpretare uomini ai limiti. Ma nel suo mondo non esistono confini. E con Grazia parla delle sue scelte radicali: come quella di andare a vivere a Berlino per seguire la ragazza giusta

Quando incontro Luca Marinelli, a colpirmi sono innanzitutto gli occhi che risaltano sul bel viso magro come il corpo: chiarissimi, profondi, di una sincerità disarmante. L’attore, 31 anni, li ha prestati a tante interpretazioni “al limite”, come l’asociale protagonista del film La solitudine dei numeri primi, che lo lanciò nel 2010, o l’aristocratico fuori di testa di La grande bellezza. Ora Luca volta pagina e in Lo chiamavano Jeeg Robot, sorprendente opera prima di Gabriele Mainetti (nelle sale il 25 febbraio), dà vita a un personaggio sopra le righe della periferia romana: Zingaro, esilarante bandito “da fumetto” dedito alla violenza e ossessionato dalle canzoni di Anna Oxa. Antagonista di un delinquente da strapazzo, ma dotato di superpoteri, interpretato da Claudio Santamaria, Zingaro ne combina di tutti i colori. «Quando ho letto la sceneggiatura ho cominciato a ridere», mi racconta Marinelli. «Non mi pareva vero che si facesse un film così al di fuori degli schemi. Il coraggio del regista mi ha contagiato e ho deciso di buttarmi nell’avventura».
Incontro Luca di passaggio a Roma: da quattro anni ha lasciato la sua città, la famiglia, gli amici per vivere a Berlino con l’attrice tedesca Alissa Jung, 34 anni, conosciuta sul set della fiction Maria di Nazareth, in cui interpretavano rispettivamente San Giuseppe e la Madonna.
Vivere all’estero non rischia di penalizzare la sua carriera?
«No, perché? Ho fatto una scelta dettata dal cuore e non mi sono mai pentito. Ho imparato il tedesco e in Germania ho preso parte alla serie Die Pfeiler der Macht. Ma torno in Italia ogni volta che devo girare un film».
Come mai interpreta tanti personaggi estremi?
«Me lo domando anch’io, ma non ho la risposta. Mi considero, però, fortunatissimo, perché nei miei ruoli ho potuto mettere di tutto: tragedia, umorismo, ossessione. Mi piacciono i personaggi da scalare, come le montagne».
Uno di questi è Cesare, il protagonista di Non essere cattivo. È dispiaciuto di non aver potuto accompagnare questo film postumo del regista Claudio Caligari a Los Angeles, visto che aveva partecipato alle selezioni per l’Oscar, ma poi non è stato scelto?
«Un po’ ci speravamo, eravamo e siamo tuttora un gruppo affiatatissimo. Ma sono talmente contento di come il film è stato accolto a settembre a Venezia e nel resto d’Italia, a pochi mesi dalla morte di Claudio, che la mancata nomination all’Oscar passa in secondo piano».
Ma lei è un ragazzo tormentato come i suoi personaggi?
«No, per niente. Credo comunque di essere sensibile e un po’ timido. Ma mi piace stare in compagnia con le persone che amo, non amo chiudermi in me stesso».
Ha deciso presto di fare l’attore?
«Sì, appena mi sono reso conto che questo mestiere era un gran divertimento, un gioco da adulti, ma molto serio. Agli esordi, quando ho provato a entrare al Centro Sperimentale di cinematografia sono stato respinto, fu una brutta botta. L’anno dopo però sono riuscito a farmi ammettere all’Accademia d’Arte Drammatica. E ho passato tre anni indimenticabili».
È vero che da ragazzo teneva in camera il poster di Marlon Brando?
«Sì, ho sempre amato gli attori che hanno con il cinema un approccio totalizzante come Daniel Day-Lewis, ma anche i nostri Valerio Mastandrea, Elio Germano, Kim Rossi Stuart, Pierfrancesco Favino. Ma il mio idolo è Joaquin Phoenix: vorrei fargli da controfigura».
Che cosa si aspetta dal futuro?
«Ho dei sogni che riguardano la mia vita privata, ma li tengo per me. E se il lavoro continua così, sono felicissimo (lo vedremo nei film Tutto per una ragazza, ispirato al romanzo di Nick Hornby, e Lasciati andare con Toni Servillo, ndr). Spero che la vita continui a tenermi sveglio».
Ho un’ultima curiosità: è difficile per chi è cresciuto nel caos di Roma abituarsi all’ordine dei tedeschi?
«Non più di tanto. Berlino è una magnifica città piena di teatri, cinema, sale da concerto e spazi aperti. Tutto funziona, ogni cosa è programmata nei minimi particolari. Faccio sport, sto benissimo. Ma ogni tanto, lo confesso, sogno di organizzare un volo charter che mi porti i miei amici dall’Italia».
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