Laura Chiatti mi saluta e mi chiede come sto. Come se mi conoscesse da una vita. L’intervista si fa subito chiacchierata, il fare diretto, spontaneo, le risposte date d’istinto, niente silenzi.
Al milione di follower che ha su Instagram, Laura Chiatti piace proprio per questo, e glielo scrivono. E può diventare anche impetuosa, perfino ruvida, anzi un ciclone, se qualcuno sui suoi social fa un commento stile “hater”.
Ecco, il paradosso di Laura Chiatti è che una così si muove dentro una bellezza eterea, algida, classica, alla Grace Kelly. Un incontro di opposti che ha avuto successo, visto che ha lavorato con grandi registi italiani, da Paolo Sorrentino a Giuseppe Tornatore, e internazionali, come Sofia Coppola.
Non stupisce che in un film drammatico come Ero in guerra ma non lo sapevo incarni una donna forte, carismatica, come Elena Torregiani, moglie di Pierluigi Torregiani, gioielliere milanese ucciso in una sparatoria, nel 1979, dai Proletari armati per il comunismo. Diretto da Fabio Resinaro, prodotto da Eliseo Multimedia e Rai Cinema, il film, trasmesso il 16 febbraio su Rai Uno, è ora visibile su RaiPlay.
Si ispira all’omonimo libro di Alberto Torregiani che, allora quindicenne, a causa di quella sparatoria perse l’uso delle gambe. A Laura Chiatti abbiamo chiesto di raccontarsi partendo proprio da questo film.
Come si è preparata a girare un film ambientato negli Anni di Piombo?
«Il caso Torregiani lo conoscevo già, sono appassionata di cronaca nera. Ho approfondito con giornali e libri, e ho parlato con uno dei figli, Alberto Torregiani, per capire com’era l’atmosfera in famiglia nell’ultimo mese di vita del gioielliere, di cui parla il film. Studiando e leggendo ho capito che non è cambiato molto dagli Anni 70: allora Torregiani subì un processo mediatico, fu definito gioielliere-pistolero perché durante una precedente rapina si era difeso con un’arma. Così lo “sceriffo” divenne un bersaglio per i terroristi. Ma anche oggi molto spesso si vedono persone affrontare sui mass media una gogna pubblica. Chi conosceva bene Torregiani sapeva invece che era una brava persona: faceva del bene a chi ne aveva bisogno e aveva adottato, con la moglie Elena, tre fratelli cui erano morti i genitori».
Elena Torregiani entra in conflitto con il marito che, nonostante le minacce di morte, è imprudente e insofferente alla scorta. Come si sarebbe comportata al suo posto?
«Nello stesso modo: avrei avuto come lei un sacco di paure. Come lei avrei cercato di salvaguardare figli e famiglia dai rischi concreti, anche a costo di litigare con mio marito. Elena non ha un lavoro suo, ma legge e si tiene aggiornata. Anche lei amerebbe vivere senza privazioni di libertà, ma ama più di tutto la famiglia che ha costruito con sofferenza, e la protegge pur combattendo contro i pregiudizi che colpiscono il marito».
Anche lei sente di scatenare pregiudizi, per esempio quando rivendica la libertà di passare da un film di Paolo Sorrentino, Giuseppe Tornatore, Sofia Coppola, con cui ha lavorato, a una commedia sentimentale?
«Sì. Ma io nel pregiudizio ci sono cresciuta, professionalmente parlando: ci sono abituata».
Perché?
«Non avevo l’ambizione di fare l’attrice, non ho studiato per diventarlo, non arrivo dal teatro. Tutto questo ti viene fatto pesare».
E come è arrivata al cinema?
«Mi ci sono trovata. Dopo aver fatto delle esibizioni canore, adoravo cantare fin da ragazzina, mi hanno proposto di partecipare al concorso Miss Teenager, avevo 14 anni. L’ho vinto. Da lì cominciai a fare provini, poi piccoli lavori in tv, e infine nel 2004 il regista Giacomo Campiotti mi propose il ruolo di Giulia nella commedia adolescenziale Mai più come prima. E poi ho continuato tra cinema e tv, fino a che sono arrivati i ruoli con Sorrentino, Coppola, Comencini, Avati. Ma nella creazione del pregiudizio ha pesato anche altro».
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Foto di Federico De Angelis - Styling di Selin Bursalioglu
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