La moda che pensa al clima
Uno degli aspetti più interessanti della rivoluzione green riguarda la moda. Nel settore fashion, l’economia circolare punta a ridurre gli sprechi e l’impatto ambientale attraverso riuso, riciclo e progettazione sostenibile. Ormai è un percorso obbligato.
Il Parlamento europeo nei prossimi mesi estenderà la responsabilità del produttore anche a questo. «Si applicherà al settore tessile una normativa simile a quella che oggi c’è per elettrodomestici e imballaggi, cioè ogni produttore di un capo tessile dovrà prevedere un contributo ambientale», spiega Michele Priori, direttore generale di Cobat Tessile e partner di Phygital Sustainability Expo. «I consorzi, come il nostro, andranno a ritirare il rifiuto per avviarlo alle operazioni di recupero, se sarà possibile allungare il ciclo di vita del bene riutilizzando il più possibile del materiale». Oggi la produzione dei rifiuti tessili è critica. «Ogni anno un italiano butta circa 11 chili di rifiuto tessile e, con le associazioni benefiche, solo 2,7 vengono recuperati. Gli altri arrivano in discarica. La nuova normativa contrasterà anche il flusso illegale di rifiuti dall’Europa a Africa e India». In futuro ci saranno centri di raccolta di abiti usati, dai grandi negozi alle scuole. «E dal 2030, secondo l’Ue, sarà obbligatorio inserire il 30 per cento di fibrariciclata in ogni capo», dice Priori. «Insomma, non può più funzionare un’economia lineare, cioè: prendo, uso, butto. Bisogna recuperare le materie, allungare il ciclo di vita dei tessuti e rendere i capi riparabili. E le aziende si stanno adattando».
Ma come facciamo a sapere che un capo tessile contiene davvero materiale riciclato? «Sono in arrivo due importanti novità. Una si chiama EPD ( Dichiarazione Ambientale di Prodotto), una dichiarazione delle prestazioni ambientali diun prodotto misurate sul suo ciclo di vita. Esiste già per gli alimenti», spiega Lorenzo Orsenigo, presidente di ICMQ, organismo accreditato alle certificazioni e partner di Phygital Sustainability Expo. Non è l’azienda che si auto-certifica, c’è una terza parte indipendente. «C’è poi l’indice di circolarità (NCI): misura quanta parte del prodotto è riciclato, analizzando anche energia, acqua e rifiuti legati alla sua produzione. Per il cittadino l’indice è una garanzia per avere meno sprechi». Sarà una scala da 1 a 4 per ogni dimensione, non obbligatoria ma molto utile ai consumatori.
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