Irama: «Mi tengo stretta la mia fragilità»
Non si può dire che Irama sia incoerente. Per tutta l’intervista mi ha detto che la sua vita e il suo lavoro coincidono con la sua grande passione, fare musica. Ora non posso lamentarmi se lo sento scalpitare al telefono («Abbiamo finito? Io dovrei scappare. Dove? Sala di registrazione, per una nuova canzone. Com’è? Ne parlerò più avanti») e se pronuncia frasi sempre più brevi per dirmi che deve correre là dove si sente più artista che personaggio.
Irama, all’anagrafe Filippo Maria Fanti, in realtà è entrambe le cose. Un artista prodigio, visto che a 26 anni con le sue hit ha già centrato 32 dischi di platino e cinque dischi d’oro. Con la sua aria angelica, garantita da capelli chiari, pelle diafana e occhi azzurri, a Sanremo 2022 si è confermato anche personaggio con la sua Ovunque sarai, intima ed emozionante, dedicata alla nonna scomparsa, con cui ha commosso tutta l’Italia.
Il suo video è entrato subito nella classifica globale di YouTube con 20 milioni di visualizzazioni. Un singolo che è tratto dall’album Il giorno in cui ho smesso di pensare, prodotto da Warner Music Italy, in cui Irama ospita artisti del calibro di Rkomi, Gué Pequeno, Lazza, Sfera Ebbasta, Epoque e Willy William e in cui si è divertito a esplorare sonorità diverse, da quelle urban pop a quelle latine e caraibiche. Anche quello disco d’oro.
Insomma, Irama è il simbolo di una generazione di giovani che a testa bassa lavora su quello che ama e che centra tutti i suoi obiettivi professionali. Lo abbiamo intervistato, in questo suo anno dei record, a un mese e mezzo dal debutto del suo Summer Tour, che parte da Capannori, Lucca, il primo di luglio.
Che cosa signif ica il titolo Il giorno in cui ho smesso di pensare?
«È una provocazione, volevo proprio dire che quel giorno non è mai arrivato e credo che non arriverà mai. Questo album, con tutte le collaborazioni e i tanti linguaggi musicali che ospita, è proprio eclettico, è un inno alla libertà di pensare, raccontare, sperimentare e al non avere paura di schiantarsi e andare fuori dagli schemi».
È difficile, oggi, non avere un’etichetta nel mondo della musica, come succede a lei che non ha mai voluto essere racchiuso in sigle come pop, rap, urban, latin?
«È difficile in generale, non solo per fare musica. Oggi ti etichettano per qualsiasi cosa: per le tue tendenze sessuali, per i gusti personali, per la direzione professionale che prendi. Anche a me ne hanno date: per un periodo sarei stato un artista pop, poi sarei diventato urban. Poi artista eterosessuale. Tutte le etichette sono rigide, perfino quella “gender fluid”, che ora è molto di moda, è rigida. Siamo esseri umani e basta, qualcosa di molto più complicato di una banale definizione, e con mille sfumature in più».
Che cosa si aspetta da questo primo tour dopo la pandemia?
«L’ultimo è stato quello del 2019, quindi non vedo l’ora. Ho avuto già un primo assaggio, perché ho appena finito un minitour primaverile di quattro concerti ed è stato emozionante ritrovare il contatto fisico, dal vivo, con le persone. Ci voleva tornare a cantare dal vivo, è il più bel segnale della ripartenza dopo il Covid. Per me questo Summer Tour è il modo più bello per dare vita vera, condividendolo con i miei fan, a quello che per mesi ho pensato e masticato in solitudine».
Il suo ultimo singolo, 5 gocce, parla appunto di una persona tormentata, che non dorme, che pensa a un amore complicato. È vero che scrive le canzoni di notte?
«Non ricordo d’aver scritto una sola canzone di giorno. Anche da bambino ho sempre faticato ad addormentarmi, soffro d’insonnia praticamente da sempre. Per fortuna, a me la notte non porta consiglio, a me la notte porta musica. E a volte vado avanti a oltranza, fino a che la canzone è finita. Ricordo una volta, ero in vacanza in Puglia, in una casa del Salento. Stavamo lavorando, io e il musicista Giulio Nenna, a quello che poi sarebbe diventato il brano Dedicato a te. Lui a un certo punto verso l’alba è crollato addormentato sul divano. Io sono andato avanti fino alle nove del mattino. A quel punto l’ho obbligato a svegliarsi e gli ho detto: “Ora andiamo a registrare”. Era così insonnolito che non trovava neanche il plettro della chitarra. La canzone è rimasta così, come è stata finita alle nove di quel mattino salentino».
A che età ha iniziato a scrivere testi?
«Lo ricordo benissimo: a 7 anni ho scritto la mia prima canzone, che poi ho stracciato. Mi piaceva tanto scrivere brani musicali. Forse perché in casa mia si sentiva tantissima musica».
Che famiglia era la sua?
«Sono cresciuto a Monza, vicino a Milano, in una famiglia molto unita, ricca di interessi e stimoli, colta. Sono stato molto fortunato. Ho imparato il valore del lavoro. E poi respirato tanta musica. Mia madre mi comprava gli album. E nella taverna di mio nonno andavo a sen- tire i vinili, ma lui si arrabbiava perché diceva che io gli rompevo le puntine. Era vero, ero una pecora nera».
Quali erano i suoi idoli musicali?
«Da ragazzino ascoltavo spesso Fabrizio De André: la sua Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers l’ho sentita un sacco di volte, la vivevo come una fiaba, e poi gli U2 e Francesco Guccini».
Preferiva il Guccini politico o quello più introspettivo?
«Non ho mai amato il lato politico degli artisti. Lo stesso Guccini ama dire che con le canzoni non si fa la rivoluzione. E sono d’accordo con lui. Quindi se devo scegliere tra il Guccini dell’Avvelenata o quello della Locomotiva, scelgo il primo. Lui è un gigante per me».
A proposito di politica. Molti accusano i giovani di essere disinteressati alla politica e soprattutto disinteressati a fare sacrif ici per affermarsi sul lavoro.
«Io invece penso il contrario: che siamo una generazione di gran lavoratori. I giovani fanno crescere tanti settori nuovi, non solo quelli della tecnologia e che riguardano laRete.Vedo ragazzi che i lavori proprio se li inventano».
Torniamo alla tastiera: ogni tanto si trasforma in video-gamer?
«Sì: quando posso condivido con gli amici qualche bella partita alla console. Mi piacciono i giochi di calcio, come quelli della serie Fifa, e qualche gioco “sparatutto” come Call of duty. Ma tutta la mia vita, davvero, è dedicata alla musica, fin da giovanissimo».
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Foto di MATTIA GUOLO - styling di SIMONE RUTIGLIANO
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