di Armando Gallo, da LOS ANGELES
Qualunque cosa abbiate fatto durante la recente quarantena, non commettete l’errore di confrontare la vostra esperienza con quella di Joaquin Phoenix. L’attore premio Oscar e attivista animalista, 45 anni, si è dato davvero un gran da fare: ha aiutato a distribuire un milione di pasti vegani alle famiglie in difficoltà durante l’emergenza sanitaria, ha firmato un appello per rivedere la legge sul possesso dei grandi felini dopo aver visto su Netflix il documentario Tiger King, ha girato un video per dissuadere gli americani dal mangiare carne alla griglia durante il Memorial Day, ha chiesto di adottare a distanza delle mucche per la Festa della mamma e ha fatto appello al governatore di New York per svuotare le carceri ed evitare la diffusione del coronavirus tra i detenuti. Il Joaquin che ha conquistato tutti sul grande schermo è quello con la maschera di un Joker tormentato, ma niente rappresenta meglio l’attore oggi come il ritratto in cui tiene in mano un cartello con la scritta: “È arrivato il tempo di fare ammenda e di curare il nostro pianeta ferito”.
La battaglia di Phoenix è cominciata tanto tempo fa. La leggenda vuole che a soli 4 anni, mentre a bordo di una nave faceva ritorno negli Stati Uniti dal Venezuela, il piccolo Joaquin vide uccidere del pesce in modo brutale: «Mi sembrò ovvio che la mia famiglia mi avesse tenuto nascosto qualcosa, non ci si può nutrire di esseri viventi massacrati così. Sono vegano da allora», ricorda, raccontando di una madre in lacrime quando il piccolo e i suoi fratelli chiesero il perché nessuno avesse mai parlato loro di quanto dolore si nascondesse dietro un pasto “normale”.
Ora che l’attore e la sua compagna, la collega Rooney Mara, 35, starebbero aspettando un bambino, c’è da immaginare che lo cresceranno in modo assai diverso. Lei è, parola di Phoenix, «l’unica donna di cui abbia cercato informazioni su internet». Lui digitò il nome di Rooney su Google dopo averla conosciuta sul set del film Her, nel 2013. Stessa passione per gli animali, stesso fuoco attivista, stessi amore per la riservatezza e dedizione totale al lavoro. Per Millennium - Uomini che odiano le donne Mara arrivò ad affamarsi e coprirsi di piercing; per Joker Phoenix ha studiato per otto mesi gli affetti da patologie mentali e ha rifiutato di provare le scene con gli altri attori («Per me è impossibile farlo, sarebbe come truffare gli spettatori», dice).
Tra una cosa e l’altra, nel 2018, i due sono stati anche Gesù e Maria Maddalena nel film Maria Maddalena, a suggellare in un certo senso l’unicità della loro relazione personale e artistica. Confermata, pochi giorni fa, anche in un articolo firmato insieme sul quotidiano americano Washington Post sul tema degli allevamenti intensivi e dei mercati di animali vivi: “Una sanità pubblica moderna ci dovrebbe spingere a rivedere i nostri modelli di consumo, frenando la nostra dipendenza dai prodotti animali. Un approvvigionamento alimentare infestato da batteri e disumano fa solo ammalare le persone”, hanno scritto le due star. E il loro impegno non si ferma qui.
La sua ultima apparizione cinematografica è quella in Guardians of life, il cortometraggio del movimento Extinction Rebellion e dell’organizzazione Amazon Watch, diffuso poco prima dell’emergenza coronavirus. Lì, ed è una strana coincidenza, veste i panni di un medico che cerca di salvare un cuore che rappresenta l’Amazzonia in fiamme.
«Stiamo abbattendo e bruciando le foreste, e stiamo vedendo gli effetti negativi di tali azioni in tutto il mondo. C’è ancora tempo per agire, ma solo se apportiamo subito cambiamenti radicali ai nostri consumi. Non possiamo aspettare le elezioni di novembre per cambiare, abbiamo tutti la responsabilità di agire ora. E poi c’è l’altra mia battaglia, quella per far crescere la consapevolezza degli effetti dell’industria della carne e dei latticini anche sui cambiamenti climatici».
Nel suo discorso agli Oscar ha detto che l’uomo si permette troppe libertà: inseminare artificialmente le mucche, portare loro via i vitellini appena nati, privarle del latte per metterlo nel caffè. Non pensa di chiedere un cambiamento troppo radicale del nostro stile di vita?
«Ci siamo abituati a depredare le risorse della natura. L’ho già detto: abbiamo paura della sola idea di cambiare perché pensiamo di dover rinunciare a qualcosa. Invece possiamo creare un mondo diverso, facendo del bene a tutti gli esseri senzienti e all’ambiente».
Lei è molto determinato in questa battaglia, come mai?
«Il mio essere vegano è qualcosa che si è evoluto negli anni, ma di una cosa sono certo: tutto è connesso. La vita degli animali, quella del pianeta, le nostre scelte quotidiane. Per questo dico che le nostre decisioni sbagliate di oggi possono portare alla sofferenza di tutte le specie viventi, esseri umani compresi».
Com’è stato essere vegano da bambino negli Anni 80, quando l’America sembrava mangiare solo hamburger?
«Sono stato preso in giro a scuola e messo in discussione persino dagli amici della mia famiglia ogni volta che mi incontravano. Ma sono andato avanti per la mia strada, spesso da solo».
La sua famiglia non l’ha sostenuta abbastanza?
«Sì, l’ha fatto. Soprattutto mia madre Heart. Lei è sempre stata una fonte d’ispirazione per me. Mi ha insegnato i valori di libertà e umanità che mi hanno guidato nella mia vita e nella mia carriera. Qualunque cosa faccia, in fondo lo faccio per lei».
E ora lei ha posato per l’associazione animalista Peta con lo slogan: metti fine allo specismo, diventa vegano. Crede davvero che presumendosi superiori gli esseri umani possano distruggere il pianeta?
«Io dico solo che, se guardi il mondo con gli occhi di qualsiasi altro animale, capisci che dentro di noi siamo tutti uguali e che tutti meritiamo di vivere senza soffrire».
Ha detto che da ragazzo è stato messo ai margini per le sue scelte. In Joker ha interpretato una persona malata, in difficoltà, che vive in semi-isolamento. Come pensa a questo ruolo dopo la recente quarantena?
«Non mi sono mai sentito come Arthur nel film, ma c’è una parte di me che continua a simpatizzare per lui, anche se in fondo si tratta di un personaggio terribile. Tuttavia sono abbastanza sicuro di preferire gli antagonisti agli eroi: un eroe genera sempre una certa aspettativa nel pubblico e deve rimanere su determinati binari. Un antagonista, invece, ti lascia spazio per esplorare territori nuovi, come attore ma anche come spettatore».
Come è nato l’appello al governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo?
«La diffusione del coronavirus minaccia la vita di tutti noi. Ma quando sei in carcere non esiste distanziamento sociale e le precauzioni igieniche richieste oggi non sono un’opzione praticabile. Credo sia urgente evitare che chi si trova in prigione, o chi lavora a contatto con i detenuti, si infetti. Per questo ho chiesto al governatore di fare un gesto concreto di clemenza, per liberare i newyorkesi imprigionati. La vita di tante persone dipende dalle sue azioni. Nessuno merita di morire in carcere a causa del Covid-19».
Articolo pubblicato sul numero 25 di GRAZIA (4 giugno 2020)
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