Greta Thunberg: "Il virus non mi fermerà"
di Adam Vaughan
Qualcuno dalla penna un po’ avvelenata l’ha messa così: il Covid-19 ha ucciso Greta Thunberg. Nel senso che il coronavirus ha tolto molto del vento che soffiava nelle vele dell’ecoattivista 17enne, facendo un po’ passare in secondo piano l’emergenza ambientale rispetto a quella della pandemia. La verità, invece, è che Greta non solo sta benissimo, ma ha intuito prima di altri l’occasione che abbiamo davanti: approfittare del mondo post-Covid in cui dovremo rivedere per forza i nostri stili di vita e far andare avanti di pari passo la battaglia contro il surriscaldamento globale. La missione non è semplice, nemmeno per questa ragazza che ha iniziato da sola i suoi “scioperi per l’ambiente” davanti al Parlamento svedese nel 2018, quando aveva solo 15 anni. Da allora è diventata una delle persone più popolari al mondo. Ha parlato alle Nazioni Unite ed è stata candidata già due volte al premio Nobel per la Pace.
Il coronavirus ha confinato il movimento #FridaysForFuture online, ma non la determinazione di Thunberg: «Proprio come il cambiamento climatico, anche la pandemia del coronavirus colpisce i diritti dei bambini. Tutti i piccoli saranno danneggiati, adesso e nel lungo termine, e quelli più vulnerabili lo saranno in maniera più grave». Con queste parole, Greta ha lanciato la campagna “Let’s Move Humanity for Children in the Fight Against Coronavirus” (L’umanità si mobiliti per i bambini nell’emergenza Coronavirus) a sostegno dell’Unicef, donando i 100 mila dollari dell’Human Act Award, il premio che le era stato assegnato lo scorso 22 aprile.
Greta, hai deciso quasi immediatamente che avresti portato sul web i Fridays for Future. Come mai?
«In realtà, non sono stata io a farlo. Abbiamo avuto alcuni incontri con le persone che fanno parte del movimento in tutto il mondo e abbiamo deciso insieme. Anche se noi siamo giovani e non apparteniamo alla categoria più colpita da questo virus, siamo al fianco di chi rischia di più».
Da più parti si stanno facendo paragoni fra l’emergenza climatica e l’epidemia del coronavirus, mettendo a confronto la rapidità e la portata degli interventi con i quali i governi hanno reagito. Che cosa pensi possa insegnarci questa crisi a proposito delle azioni necessarie per combattere il surriscaldamento globale?
«Prima di tutto non credo che dovremmo fare confronti: Covid e ambiente vanno trattate come crisi separate, anche se possono essere gestite insieme. Una non esclude l’altra; anzi, la crisi determinata dal coronavirus dimostra proprio che le nostre società non sono sostenibili. Il fatto che un virus possa distruggere l’economia globale e fermare intere comunità è la prova che le nostre società non sono poi così forti. Però c’è anche un aspetto positivo: quando arriva un’emergenza siamo capaci di agire e cambiare il nostro comportamento in maniera molto rapida. Fino a quando conserveremo buon senso e solidarietà potremo superare qualsiasi ostacolo».
Ti preoccupa l’idea che questa pandemia possa diventare una grande distrazione per i politici che, sopraffatti dalle circostanze, potrebbero rimandare azioni come il piano d’investimenti europeo per l’ambiente e altre misure?
«È del tutto possibile che gli interventi a favore del clima vengano rimandati. Anzi, sicuramente verranno rimandati. Stiamo affrontando un’emergenza sanitaria così grande che quasi non sembra possibile potersi occupare anche della crisi climatica. Questo lo capisco, ma noi non possiamo dimenticarcene. Dobbiamo occuparci di coronavirus e di ambiente perché la crisi climatica non è scomparsa».
Dall’inizio della tua protesta, hai sempre fatto poco uso di slogan e molto di verità scientifiche. Come mai?
«Perché quella ambientale non è una crisi politica, ma un’emergenza scientifica. Non è qualcosa su cui si possano avere opinioni diverse: è davvero bianco o nero. Se continuiamo a escludere gli esperti dalla conversazione, non riusciremo a risolvere il problema».
Pensi che ripetere, più e più volte, questi dati scientifici alle persone basterà a spingerle ad agire? Che cos’altro potrebbe servire?
«Citando solo le ricerche scientifiche non riusciamo a spingere le persone ad agire. La maggior parte di noi, quando vede un documento scientifico, non sa leggerlo. Non dice certo: “Oddio, questa è una crisi senza precedenti, dobbiamo darci da fare subito”. Le persone sono animali sociali e, se gli altri non si comportano come se ci fosse un’emergenza, allora nessuno cambierà il proprio modo di pensare e di agire».
Durante alcuni dei tuoi discorsi hai detto che i governi e le imprese non hanno fatto abbastanza, per questo hanno fallito la loro missione. Ci sono esempi di azioni positive che vale la pena citare?
«Naturalmente sì. Molte cose sono piccole ma importanti, come la recente cancellazione dell’ampliamento dell’aeroporto di Bristol, in Gran Bretagna. Dobbiamo, però, anche tener presente che, se guardiamo al quadro generale, ci sono molte cose negative che stanno accadendo e, per questo, va bene riconoscere le “vittorie”, ma senza permettere che queste ci distolgano dai problemi. Ciò che davvero manca in questo momento è il tempo, il fattore tempo non ci aiuta. Perciò dobbiamo usare le risorse che abbiamo disponibili adesso».
Hai ricevuto tantissime reazioni negative e critiche, a volte persino da parte di capi di Stato. Come reagisci?
«Il momento in cui ricevi critiche da parte di qualche leader puoi considerarlo davvero una pietra miliare della tua carriera. Va considerata una vittoria perché è la dimostrazione che stai avendo un impatto, che loro sono davvero spaventati da te, perché vogliono mantenere il loro status e tu li stai mettendo in difficoltà. Allo stesso tempo, mi fa ridere quando gli adulti si sentono così minacciati da noi “ragazzini” da sentire l’esigenza di prenderci in giro per zittirci».
Ti scoraggia essere trattata come una figura “unica” nell’ambito dell’attivismo climatico? Al summit sul clima di Madrid dello scorso dicembre, c’erano tanti attivisti sul palco, provenienti da tutto il mondo, ma i giornalisti volevano fare domande solo a te.
«Sì, questo succede continuamente e mi scoraggia. Invece di fare pressioni sui capi di Stato e sugli amministratori delegati, i giornalisti scrivono di me. Comprendo che lo fanno perché, attraverso di me, possono comunque parlare della crisi climatica, ma non riesco a giustificare il fatto che ignorino completamente non solo gli altri, ma anche i fatti scientifici in quanto tali».
Come ti sostengono i tuoi genitori?
«All’inizio non erano molto favorevoli, soprattutto quando la cosa ha acquisito una dimensione globale che ha avuto un impatto sulla nostra vita. Erano anche molto preoccupati dal fatto che le persone potessero contestarmi e che potessero esserci rischi per la mia sicurezza. Mi hanno chiesto, in un certo senso, di fare un passo indietro, ma poi si sono resi conto che grazie all’attivismo io ero più motivata e più felice. Si sono trovati in una posizione molto difficile e non credo sapessero precisamente come affrontarla».
Tu hai sicuramente avuto una grande influenza su di loro. Ma mi chiedo, invece, come loro abbiano influenzato te.
«Hanno sempre provato a crescermi spingendomi a pensare agli altri. Non mi hanno mai detto, per esempio, di essere fieri di me per quello che ho realizzato. Mi dicono, piuttosto: “Siamo felici, se tu sei felice”. Per me è un modo di fare molto positivo e sano».
Quando non sei impegnata con il tuo attivismo, quali cose da teenager fai?
«È difficile rispondere perché tutto cambia continuamente. Quando sono a casa ho deciso di occupare il tempo facendo una serie di “liste delle cose da fare”, ma ho anche lavorato a maglia, scritto il mio diario e giocato con i miei cani. Il mio attivismo ora occupa quasi completamente tutto il mio tempo».
Hai detto di essere stata colpita dal coronavirus, com’è stata la tua esperienza?
«Inizialmente non ne volevo parlare. Poi ho pensato di comunicare la mia intenzione di mettermi in quarantena volontaria perché avevo viaggiato in treno e non volevo mettere nessuno a rischio. Dopo qualche giorno ho cominciato a sentire qualche sintomo: io mi sono sentita insolitamente stanca e avevo un po’ di tosse. Mio padre ha avuto sintomi più forti. Ma molte persone ancora oggi sono asintomatiche, tuttavia possono sempre essere contagiose. Per questo è fondamentale praticare sempre il distanziamento sociale, a prescindere da come ci si senta».
Hai idea di che lavoro vorresti fare dopo gli studi?
«Penso di aver sognato e preso in considerazione quasi ogni possibile carriera al mondo. Per ora so che voglio essere in un posto dove io possa fare la differenza, dove io possa provare a rendere il mondo migliore. Sono troppe le cose che vorrei fare e tutte sembrano belle».
(Ha collaborato Angela Vitaliano)
© 2020 New Scientist Ltd.
Articolo pubblicato sul numero 25 di GRAZIA (4 giugno 2020)
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