di Gloria Satta
Ha trascorso la quarantena con la famiglia nella seconda casa in Toscana e ora Alessandro Gassmann, 55 anni, è pronto a tornare alla battaglia che affianca costantemente, sia di persona sia sui social, al suo mestiere di attore e regista: quella per la difesa dell’ambiente. Ormai è uno degli eco-influencer italiani più seguiti: siamo abituati a vederlo, armato di ramazza, mentre ripulisce i marciapiedi della sua Roma, lancia appelli contro l’inquinamento, sensibilizza l’opinione pubblica sui cambiamenti climatici, esalta l’economia sostenibile.
Dopo l’isolamento, la vita riprende e Alessandro non ha intenzione di fermarsi. «La pandemia ha lasciato il pianeta in uno stato peggiore di prima», spiega l’attore a Grazia alla vigilia dell’8 giugno, Giornata mondiale degli Oceani. «Ci prepariamo ad affrontare l’estate più calda degli ultimi anni, la barriera corallina non smette di sbiancarsi, milioni di pesci muoiono ogni giorno in un mare sempre più insidiato dalla plastica. La specie umana ha seriamente danneggiato il proprio habitat, non possiamo rimanere a guardare». Mentre parliamo collegati al computer, sullo sfondo s’intravvedono la moglie, l’attrice Sabrina Knaflitz, e il figlio cantante Leo Gassmann, 21, vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo nella categoria Nuove Proposte. Entrambi, spiega Alessandro, sono coinvolti nell’impegno ambientalista.
Secondo lei qual è la battaglia più urgente?
«Quella che dobbiamo affrontare per abbassare le temperature. Negli ultimi 100 anni si sono rialzate a causa dell’attività umana: penso ai processi industriali, alle energie fossili che oggi mettono in pericolo non solo il mare ma l’intero ecosistema. Un esempio: le microparticelle di plastica, trovate anche all’interno del krill antartico, nutrimento della fauna marina, sono diventate cibo dei pesci inconsapevoli. Il mondo rischia la catastrofe».
E che cosa possiamo fare per scongiurarla?
«Premere sui governi affinché rispettino gli impegni presi a livello internazionale contro il riscaldamento globale. Non è una battaglia facile. Esistono leader negazionisti come Donald Trump in America, Jair Bolsonaro in Brasile, il primo ministro australiano Scott Morrison. La mobilitazione contro i cambiamenti climatici sta diventando sempre più uno scontro tra generazioni: da una parte ci sono i vecchi che governano il pianeta dopo averlo tanto sfruttato, dall’altra i giovani che pretendono un mondo migliore e fanno di tutto per crearlo. Non a caso la lotta è stata iniziata dall’attivista 17enne Greta Thunberg».
Questa ragazza svedese che mobilita il mondo e inchioda i capi di Stato alle proprie responsabilità è un fenomeno passeggero o ha davvero il potere di incidere sul futuro del pianeta?
«Non so che cosa incarni, né mi interessa definirla. Conta soltanto il fatto che sia riuscita a suscitare l’attenzione del mondo intero. Non solo è giovanissima, è anche diversa perché portatrice della sindrome di Asperger e sta dimostrando una grande serietà oltre a un coraggio straordinario. Il suo lavoro di informazione, incoraggiato dai genitori, è fondamentale per tutti noi. Mi auguro che, sul suo esempio, nascano cento, mille altre Greta tra le nuove generazioni».
Suo figlio Leo si è sensibilizzato presto sui temi legati all’ambiente?
«Per forza, con un padre rompiscatole come me. Oggi tutti i ragazzi sono preoccupati del deterioramento del mondo. Alla loro età noi non avevamo la stessa consapevolezza, di ecologia nemmeno si parlava. Io sono cresciuto con un’unica preoccupazione: la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia e la conseguente minaccia atomica».
A che punto della sua vita è diventato ambientalista?
«Lo sono sempre stato. Mia madre (l’attrice francese Juliette Mayniel, ndr) è figlia di contadini e da ragazza viveva in campagna. Ho passato tante estati con i miei nonni imparando a zappare, piantare, potare gli alberi e rispettare la natura. Ora vivo in città, ma quando posso scappo in mezzo al verde. Con le piante ci so fare, ho il pollice verde».
E che cosa fa nella vita quotidiana per proteggere l’ambiente in cui vive?
«Tutto quello che posso: pratico la raccolta differenziata, guido un’auto ibrida presa a noleggio, spengo le luci inutili, evito scrupolosamente di sprecare l’acqua».
Ma il suo impegno militante quando è nato?
«Tre o quattro anni fa, quando ho iniziato a informarmi sistematicamente e, su Twitter, ho conosciuto Annalisa Corrado, ingegnere meccanico e ambientalista. Mi ha introdotto al Kyoto Club che riunisce scienziati e cittadini che auspicano la transizione ecologica della società. Mi sono entusiasmato e ho offerto la mia notorietà come uno strumento, cioè per sensibilizzare l’opinione pubblica. Ogni settimana premiamo i Green Heroes, imprenditori che credono in un’economia sostenibile. E ho scoperto che in Italia c’è tanta gente generosa, capace. La difesa dell’ambiente è contagiosa come il virus».
A proposito, c’è una lezione che ha ricavato dall’isolamento?
«Più di una. Ho imparato di nuovo a convivere con mio figlio, che ormai abita per conto suo, ma ha raggiunto Sabrina e me in Toscana con la sua fidanzata. Attraverso lui, ho scoperto i 20enni e la consapevolezza, la compostezza di cui sono capaci. Ho letto tanti libri e ritrovato la poesia, leggendone delle pagine su Twitter: fino a ieri mi tenevo un po’ lontano da questo mondo per non dover competere con la sterminata cultura di mio padre Vittorio (il grande attore scomparso nel 2000, ndr)».
Si sente un padre diverso da lui?
«Vittorio incuteva in me un certo timore reverenziale, ma era un’altra epoca. Avevamo tuttavia un rapporto molto fisico, fatto di abbracci e tenerezza. E io ho sempre sentito la sua superiorità intellettuale, considerandomi profondamente ignorante rispetto a lui. Oggi il rapporto tra genitori e figli è migliorato, non è giusto basarlo sulla paura. Ma l’amicizia non esiste: un padre a volte deve prendere decisioni scomode».
Qual è stata la svolta della sua vita?
«L’incontro con mia moglie Sabrina. Ci siamo fidanzati nel 1993 e sposati cinque anni più tardi, classiche nozze riparatrici perché Leo era in arrivo. In tutti questi anni mia moglie mi ha dato tranquillità, sicurezza e garantito un altissimo tasso di felicità. Soprattutto, ha sempre creduto in me. Anche nel 2007, quando mi spinse ad esordire nella regia teatrale del testo di Thomas Bernhard La forza dell’abitudine. È stata la mia svolta professionale, da allora in poi ho allestito 12 spettacoli».
Quali progetti ha, ora che la vita ricomincia?
«Completerò a Napoli le riprese della terza stagione della serie di Rai Uno I bastardi di Pizzofalcone, dirigerò il film Il silenzio grande ispirato a un testo di Maurizio De Giovanni che ho già portato in teatro. E mi piacerebbe riprendere in mano La forza dell’abitudine».
Che sentimenti prova in questo momento, che speranze ha?
«Vorrei che la scienza trovasse presto il vaccino contro il coronavirus per consentirci di tornare pienamente alla vita. E mi auguro dal profondo del cuore che la crisi economica non abbia un impatto devastante sulle fasce più deboli della società. Sono proprio quelle di cui dovrebbe preoccuparsi la politica, anziché spartirsi le poltrone».
Dica la verità, Alessandro: riusciremo a salvare il mondo che abbiamo tanto danneggiato?
«La mia generazione non farà in tempo, ma dobbiamo agire per poter passare la palla alle giovani generazioni. Comunque, se rimarremo inerti nei prossimi 20 anni, siamo destinati a scomparire. Il mio dovere è sensibilizzare le coscienze perché tutti s’impegnino. L’ottimismo mi dice che possiamo farcela. Le risorse umane ci sono, affidiamoci alla scienza e al nostro impegno personale».
Articolo pubblicato sul numero 25 di GRAZIA (4 giugno 2020)
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