Detti e Paltrinieri, i nuotatori che sognano l'oro a Rio
Si allenano insieme, dormono nella stessa stanza e alle Olimpiadi in Brasile si daranno battaglia per le stesse medaglie del nuoto.
Ma qui Gregorio Paltrinieri e Gabriele Detti fanno una promessa: saliranno sul podio per l’Italia
Gregorio Paltrinieri oggi è il nostro nuotatore più forte: detiene il record del mondo nei 1500 stile libero in vasca corta. È l’uomo su cui tutti puntano. Ma se è arrivato fin qui, proprio sul tetto del mondo, pronto a conquistare le Olimpiadi di Rio, lo deve anche al suo compagno di stanza e di sfide alla PlayStation, Gabriele Detti (vedi sotto), che lo rincorre sempre negli allenamenti al centro federale di Ostia. Di Carpi, vicino a Modena, 21 anni, Gregorio Paltrinieri è un ragazzo riservato che misura sempre le parole.
Per lei farsi intervistare dai giornalisti è più stancante di una gara? Trova forse difficile parlare di sé?
«È faticoso, perché in un’intervista devi fare attenzione al fatto che le tue parole non vengano travisate. Devi concentrarti sui possibili “trabocchetti”. In acqua, invece, sono io che comando».
Nella gara dei 1500 alle Olimpiadi lei è il favorito. Come riesce a non farsi “ammazzare psicologicamente” - è una frase sua - e a controllare l’ansia? Qual è il trucco?
«Ho una semplice strategia: allenamento, allenamento, allenamento».
Se a Rio le propongono di vedere un’altra gara, quale sceglie?
«A parte la finale del basket, la gara del salto in alto di Gianmarco Tamberi (vedi pagina 66): mi sta simpatico, è un ragazzo fuori dagli schemi».
Qual è il suo centro del mondo? Carpi, dove è nato, Ostia dove c’è la sua piscina o un angolo qualsiasi con Letizia, la sua fidanzata da quasi 4 anni?
«Carpi vuol dire casa: torno sempre con grande piacere dalla mia famiglia».
Un atleta come lei viaggia spesso ed è sempre concentrato sul suo sport. Una vita di sacrifici. Come fa la sua fidanzata, che studia medicina all’università di Modena e Reggio Emilia, a starle accanto, visto che non ha molto tempo per le fughe d’amore?
«Letizia non vive poi così lontano e troviamo sempre la maniera per stare insieme. Lei, comunque, è una ragazza intelligente, sa capire i miei tempi».
Guardate ancora la serie tv House of Cards insieme?
«Sì, ma non è l’unica. Adesso puoi vedere qualsiasi serie in ogni momento. Non saprei dirle quale sia ora la mia preferita: ce ne sono così tante».
Come gestite la gelosia? Lei ha centinaia di fan che la seguono.
«Sono soprattutto bambini. A giugno al Trofeo Settecolli di Roma (la più importante competizione internazionale di nuoto in Italia, ndr) mi sono trovato sommerso da un gruppo di ragazzi che mi chiedevano l’autografo. Mi sono ricordato con quanta passione seguivo i miei idoli alla loro età e mi sono detto: “Peccato non poterlo concedere a tutti perché sono troppi”».
Il suo allenatore Stefano Morini dice di lei: «Invece di avere 20 anni, sembra maturo come un 40enne». È un complimento?
«Mi sento sicuramente un ragazzo cresciuto. Ho già fatto molte esperienze e sono fuori di casa da più di quattro anni, ma la voglia di divertirmi non mi manca. Ho ancora tanti progetti e desideri da esaudire».
E qual è il suo progetto per quando avrà finito i Giochi di Rio?
«Un bellissimo viaggio».
« Allenarci insieme ci fa migliorare continuamente. Lui è uno stimolo. Vedere i suoi risultati mi sprona a dire: se ce l’ha fatta lui, voglio farcela anch’io »
«Dopo il Campionato europeo di nuoto, a maggio, mi sono detto: “Se vinco la medaglia d’oro, mi compro un bell’orologio. E così ho fatto, dopo essere arrivato primo nei 400 stile libero. Se dovessi salire sul podio alle Olimpiadi, quasi quasi mi compro una casa». Gabriele Detti, 21 anni, livornese, un nuotatore che finalmente è esploso in tutto il suo talento, è simpatico: «Il classico caciarone», mi dice. «Uno che ha sempre la battuta pronta, da bravo toscano».
L’anno scorso è rimasto fermo a causa di un’infezione. Affrontare un periodo buio l’ha resa più forte?
«Sicuramente. Adesso entro in acqua arrabbiato, con la voglia di fare sempre di più».
Il suo rito scaramantico prima di una gara?
«Ascolto ogni volta la stessa musica: sono un grande fan del gruppo rock Linkin Park».
Per prepararsi alle Olimpiadi di Rio, ha imparato qualche frase in brasiliano?
«Non ancora. L’occasione c’è stata: è venuto ad allenarsi da noi un atleta brasiliano che gareggerà ai Giochi, Brandonn Almeida. Siamo diventati amici, ma alla fine lui ha imparato l’italiano così bene che usavamo sempre la nostra lingua».
La sua fidanzata, Stefania Pirozzi, è un’ottima nuotatrice. Fino a poco tempo fa si allenava a Ostia come lei, ora è tornata a Napoli. È concentrato solo sulle Olimpiadi o le manca la sua ragazza?
«Mi manca eccome. Sono un atleta, ma sono umano. Vorrei i bigliettini affettuosi che lei attaccava nella mia camera e le nostre foto. Il suo modo di augurarmi buongiorno tutte le mattine. In gara sono “cattivo”, ma anch’io so essere dolce».
Dal punto di vista atletico, quanto è importante avere Gregorio Paltrinieri vicino a lei in corsia?
«Allenarci insieme ci fa migliorare continuamente. Lui è uno stimolo. Vedere i suoi risultati mi sprona a dire: “Se ce l’ha fatta lui, voglio farcela anch’io”».
Può batterlo?
«Dipende dalle gare. Sui 400 stile libero sì, ma nei 1500 lui è una spanna più avanti».
Nella vita di tutti i giorni, con il suo compagno di gare vi sfidate solo in acqua?
«In acqua funziona la formula: “Testa bassa e pedalare”, ma nel resto della giornata siamo persone come le altre, ci piace guardare i film e giocare alla PlayStation. Io vinco sempre a calcio, lui mi straccia a basket».
Gregorio Paltrinieri adora la Nutella. Lei?
«Le lasagne. Ne vado pazzo. Stefania le sa fare benissimo. E forse dovrei imparare a farle anch’io».
© Riproduzione riservata
«Se la strage in spiaggia o il saccheggio alla Stampa sono definiti "resistenza"»: l'editoriale di Silvia Grilli
La resistenza è necessaria con ogni mezzo», «con Hamas fino alla vittoria», «ora e sempre resistenza». Sono slogan che sentiamo nelle piazze di tutto il mondo alle manifestazioni contro Israele.
Per chi li inneggia possono essere innocua teoria, opinioni a favore della Palestina o semplicemente parole urlate per non sentirsi esclusi dal gruppo, non una chiamata alle armi per massacrare i presunti oppressori. Ma c'è sempre chi prende la teoria alla lettera. Domenica 14 dicembre, quegli slogan sono stati scritti con il sangue degli ebrei.
Un padre e un figlio pachistani hanno sparato sulla folla che celebrava il primo giorno della festa religiosa ebraica dell’Hanukkah su una spiaggia famosa per le nuotate al tramonto. Quindici morti e decine di feriti sono rimasti sulla sabbia a Bondi Beach, uno dei posti più belli, pacifici e gioiosi dell’Australia. Il primo ministro Anthony Albanese ha dichiarato che non riesce a spiegarsi tutto questo male. Io credo sia molto spiegabile: per gli invasati che considerano Israele il male assoluto, massacrare gli ebrei è fare giustizia.
È la colpa dei giudei che spinge giovani ProPal a saccheggiare la redazione del quotidiano La Stampa (paradossalmente uno dei più favorevoli alla causa palestinese). Induce quel centinaio di manifestanti a scrivere e urlare slogan terroristi come “Stampa-Morta” o «giornalista sei il primo della lista», mentre una loro guru, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, riduce l'assalto a un «monito ai giornalisti».
Nella tradizione ebraica, Hanukkah è la festa della luce, della speranza. Colpire bambini, anziani e adulti che festeggiano la vita non è diverso da quando il 7 ottobre i terroristi di Hamas fecero strage al Nova Festival. Sparare sulla spiaggia in un momento storico in cui c'è qualche passo verso la pace è voler cancellare la speranza nel futuro.
Eppure, ho ancora fiducia che l’umanità possa superare l’odio. Domenica 14 dicembre, in Australia, questa speranza aveva i gesti di un uomo: Ahmed Al Ahmed, fruttivendolo immigrato siriano, che si è precipitato su uno dei terroristi e gli ha strappato il fucile. Aveva le gambe di Jackson Doolan, il bagnino veterano della spiaggia, ex star di Baywatch in Australia, che è corso a piedi nudi per un chilometro e mezzo portando il borsone dei medicinali. Aveva le braccia di tutti coloro che si sono adoperati per salvare le vittime, sollevandole sulle tavole di soccorso che di solito vengono usate per trasportare la gente a riva.
Gli orrori si ripetono, sembrano non volersi fermare. Ma se le persone corrono ad aiutare, se ci sono solidarietà e compassione, c’è ancora speranza nell’umanità.
© Riproduzione riservata
Grazia è in edicola con Maya Hawke
Maya Hawke è la protagonista di copertina Grazia in edicola e app. Si è fatta conoscere con la serie Stranger Things, arrivata all’ultima stagione. Ora l’attrice newyorkese figlia delle star Uma Thurman ed Ethan Hawke, girerà il nuovo capitolo di Hunger Games dove vuole portare l’energia di chi non ha paura di crescere.
Questa settimana intervistiamo alcune icone di Hollywood. Incontriamo Zoe Saldana, al cinema nel ruolo di Neytiri, la madre combattente di Avatar. Parliamo con Ariana Grande, in corsa ai Golden Globe con Wicked e le attrici premio Oscar Jodie Foster e Laura Dern.
Il 2025 ha cambiato noi e la Storia. Grazia lo ripercorre. Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca alla guerra a Gaza. Dalle vittorie di Jannik Sinner all’elezione del primo Papa americano fino alla scomparsa di icone come Ornella Vanoni e Giorgio Armani.
Grazia ha scelto i personaggi da tenere d'occhio nel 2026: le sciatrici Sofia Goggia e Lindsey Vonn attese alle Olimpiadi invernali, María Corina Machado, premio Nobel per la Pace che potrebbe cambiare le sorti del Venezuela, Lady Gaga in arrivo in concerto in Europa e molti altri. Da Can Yaman a Jacob Elordi, da Timothée Chalamet a Jeremy Allen White, che cos’hanno in comune i nuovi sex symbol? Mettono d’accordo mamme e figlie. Grazia ve li racconta.
Abiti dorati, trasparenze, ricami e dettagli preziosi. Grazia ha scelto i capi che ti rendono protagonista delle notti di festa e delle serate più speciali. Ma anche lo stile più cool per il 2026.
E nelle pagine dedicate alla bellezza trovate tutti i segreti per brillare: dalle strategie effetto freddo per una pelle più tonica alla scelta del fondotinta e del correttore giusti per illuminarla.
© Riproduzione riservata
Jodie Foster: "Faccio film per capire chi sono"
Come trascorre il giorno del suo compleanno una diva planetaria come Jodie Foster, sotto i riflettori dall’età di tre anni? «Lavorando», mi risponde accomodata sulla poltrona, mentre sorseggia un cappuccino. Neanche a farlo apposta la incontro proprio il giorno in cui compie 63 anni e mi confida che finita l’intervista andrà con gli amici a festeggiare. Sessant’anni di carriera tondi, fresca del Golden Globe vinto a gennaio per la sua performance nella serie True Detective: Night Country, la regista e attrice torna al cinema con il nuovo film di Rebecca Zlotowski Vita Privata. Presentato in anteprima al Festival di Cannes e dall’11 dicembre al cinema, la vede calarsi nei panni della nevrotica psichiatra Lilian Steiner, ossessionata da un caso molto delicato.
Che rapporto ha con il passare del tempo?
«Buono. Mi sento più felice che mai in vita mia».
Davvero?
«Parlo di una gioia profonda, non di quello che mi accade giorno per giorno. Le cose della vita, belle e brutte, capitano. Ma vivo un momento in cui il lavoro sta andando sempre meglio e ho superato l’ansia delle domande: “Sarò in grado di farcela con le mie forze?”, “Avrò una famiglia?”. Tutte questioni archiviate, per fortuna non devo più preoccuparmene. Da giovane passavo tanto tempo a pensare a me stessa, dopo una certa età mi sono concentrata sulle storie degli altri, è più facile e divertente».
Anche in Vita privata ascolta le storie degli altri.
«La mia Lilian non è una psichiatra risolta, anzi, è parecchio nevrotica. Non riesce a comprendere come sia possibile che la sua paziente in cura da nove anni (Virginie Efira, ndr) si sia potuta uccidere. Non ci crede, non ammette la possibilità che lei, in quanto psichiatra, sia stata così sorda».
Ritiene che come società abbiamo perso il potere di ascoltare?
«Mostrare curiosità verso gli altri è tutto. Noi attori siamo allenati all’ascolto, per lavoro siamo chiamati a calarci nelle vite degli altri ed è una bella abitudine mettersi nei panni altrui, un esercizio che possiamo fare tutti. Ci aiuterebbe come società».
Dal titolo del film alla realtà, essendo conosciuta in tutto il mondo sin da piccola come ha fatto a proteggere la sua, di vita privata?
«Sforzandomi sempre molto. Lavorando sin da bambina sapevo di dovermi proteggere: volevo andare a Disneyland, ma senza le telecamere che mi seguissero. Volevo essere libera di andare al supermercato, o prenotare un volo senza che nessuno lo facesse al posto mio. Ci ho sempre tenuto a mantenere viva la mia indipendenza, tracciando una linea netta tra la mia vita pubblica e quella privata. Oggi sono contenta di aver seguito quell’impulso».
Nel film la sentiamo sfoggiare un francese fluente…
«Mi fa sentire più sicura di me, rispetto all’inglese. Sarà che devo la passione per il francese a mia madre, che me lo fece studiare».
Come mai?
«Non aveva mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti fino ai cinquant’anni, ma la cultura europea l’affascinava. Comprava di continuo riviste e libri su Parigi e Napoleone, addirittura dipinse le pareti di casa con i colori delle antiche pietre romane. Quando ero bambina fece il viaggio dei suoi sogni e andò in Francia, con un tour in bus di quelli turistici».
Che cosa le disse al ritorno?
«"Jodie, impara il francese e diventa una grande attrice francese". Era il suo modo di dirmi che sognava per me una vita più ampia di quella americana. Anche perché erano gli anni 70, al potere c’era Nixon, non era facile essere americani. A mia madre piaceva l’idea che potessi scegliere di essere libera di inventarmi una vita tutta mia».
Ha fatto lo stesso con i suoi figli?
«Dovrebbe chiederlo a loro (Charlie e Kit, 27 e 24 anni, ndr). Intanto uno di loro sa parlare benissimo il tedesco, le mie radici tedesche ne sono contente».
Che rapporto ha con la psichiatria?
«Sempre stata scettica, ma una volta mi sono fatta ipnotizzare».
Com’è andata?
«Mi ripetevo: "Ma perché pagare 90 dollari a un tipo quando potrei smettere di fumare gratis oggi stesso?", eppure ha funzionato. Non amo la psicanalisi, per quanto la trovi attraente da un punto di vista cinematografico: non mi piace Freud, in America nessuno lo stima più, era un grandissimo sessista. Trovo però importante che al cinema si parli di salute mentale».
E che si mostri come le donne over 50 abbiano desideri, diritto al piacere e una vita sessuale appagante, come la sua Lilian con l’ex marito interpretato da Daniel Auteuil: perché tutto questo al cinema si vede ancora poco?
«Dovremmo parlare per ore della rappresentazione del corpo femminile. Purtroppo i pregiudizi sulle donne dopo una certa età sopravvivono, non solo al cinema. Ma sono speranzosa: registe come Zlotowski dimostrano di voler raccontare le donne per quello che sono, con tutti i loro desideri. La mia Liliane non è solo una psichiatra, una madre e una nonna, ma una donna che si esprime anche attraverso il corpo».
Con Auteuil avete avuto un intimacy coordinator?
«È una figura che ho scoperto sul set di True Detective. Ho detto: "Che lavoro pazzesco, dov’eri tu quando avevo 16 anni?". Ormai io e Auteil abbiamo superato i 60 e abbiamo risolto senza, ma sono contenta che questa figura esista, era importante che ci fosse».
Che cosa di lei non hanno mai capito finora?
«Non sono seria come credono. Non ho mai capito perché il pubblico mi affibbi quest’aura di serietà, io sono una persona leggera. Certo, se mi fanno domande serie rispondo in modo serio e amo fare lavori significativi, ma se sapeste com’è la mia giornata ideale cambiereste idea».
Com’è la sua giornata ideale?
«Sveglia presto, sci ai piedi, la sera una partita di calcio in tv e una cena gustosa. Altro che tormentata, sono una persona felice e ottimista verso il futuro».
© Riproduzione riservata
Come trasformare l'eredità in un'opportunità per i propri figli
Elena Valzania ha 57 anni e vive a Ravenna, in una casa che ha ereditato dalla sua famiglia. Cresciuta in un contesto economicamente stabile, è stata segnata più di quanto pensasse da ciò che ha ricevuto in eredità: non solo beni, ma un intero modo di vivere e pensare il denaro. «I nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano».
A un certo punto, la malattia entra nella sua storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. Il padre di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando lei ha 20 anni. Insieme con i beni materiali, Elena riceve anche un’eredità invisibile: l’idea che il lavoro debba essere per forza fatica. Un peso silenzioso che la accompagna a lungo, anche dopo la laurea in Farmacia, quando si avvicina all’omeopatia e inizia a lavorare. «Rispetto allo studio, lavorare mi sembrava facilissimo, ma proprio per questo mi pareva che non valesse abbastanza». E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio.
La sua carriera aziendale si interrompe durante la sua prima maternità: l’azienda viene acquisita e, al rientro dal congedo, capisce che stanno cercando di spingerla alle dimissioni.
Da allora, Elena non è più rientrata nel mondo del lavoro “ufficiale”. I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Mio marito e io abbiamo sempre avuto la mentalità di investire sulla nostra famiglia. Tuttora siamo concentrati sul mantenere i nostri tre figli agli studi e i beni di famiglia sono un mezzo per sostenere questa nuova generazione».
Parola all'esperta: le polizze come strumento di tutela
RISPONDE ELENA BELLUCCI DELL’AGENZIA ALLEANZA DI EMPOLI (FI)
1) Come si gestisce un’eredità ricevuta?
«Ricevere un’eredità può risultare persino destabilizzante, specie se si tratta di grandi somme, e senza una gestione attenta il rischio è di sperperare il patrimonio o di non trarne vantaggio. È insomma necessaria un’attenta pianificazione che parta dai bisogni dell’individuo o della famiglia, ragione per cui può essere molto utile affidarsi a un buon consulente assicurativo e finanziario. Tra le soluzioni possibili ci sono le polizze di investimento, che combinano l’opportunità di investimento con la componente assicurativa, che offre una protezione sul capitale o sul rischio di vita. Ne esistono di diversi tipi: con quelle a capitale garantito, per esempio, si ha la certezza che il capitale che sarà restituito all’uscita dall’investimento non sarà inferiore a quello versato».
2) Che vantaggi hanno, rispetto alle altre soluzioni?
«Le polizze da investimento sono nate per chi desidera assicurare un sostegno economico ai propri cari, anche in caso di decesso, con l’aggiunta di un rendimento. Offrono però anche altri vantaggi: uno dei più importanti sta nel fatto che il capitale così collocato non rientra nell’asse ereditario e non viene considerato nel calcolo dell’eredità ai fini della tassa di successione. In caso di morte del contraente le somme passano al beneficiario, nel rispetto delle quote di eredità legittime disponibili, e questo rende la polizza un ottimo strumento per tutelare le coppie non sposate o i minori».
Testo di Annalisa Monfreda
*co-fondatrice di Rame, rameplatform.com
© Riproduzione riservata