Ha lavorato con il regista Quentin Tarantino, ha sedotto Claire Danes nella serie tv Homeland e ora sogna l’Oscar con un film sulla sua Germania. Alexander Fehling è l’ultimo attore europeo ad aver conquistato Hollywood. Grazia l’ha incontrato
È alto, biondo, tedesco. Ha gli occhi azzurri, il corpo statuario e un notevole talento. Segni particolari: bellissimo. Quando ho visto l’attore Alexander Fehling, 34 anni, nella quinta stagione della serie di spionaggio Homeland nella parte del nuovo compagno di Carrie (interpretata da Claire Danes), mi sono detta: «Questo ragazzo andrà lontano». E lo ritrovo oggi protagonista di un film arrivato alle soglie dell’Oscar, cioè nella lista ristretta dei nove titoli stranieri prefinalisti: Il labirinto del silenzio (nelle sale) diretto dal regista italo-tedesco Giulio Ricciarelli. Toccante e teso come un thriller, racconta il processo che nel 1958 portò alla sbarra in Germania 22 ex aguzzini del campo di sterminio di Auschwitz, scampati alle condanne e nascosti da anni sotto falso nome. Fehling interpreta un giovane procuratore idealista che indaga battendosi contro il sistema giudiziario, deciso a insabbiare il caso e dimenticare il passato. «È il mio primo ruolo da protagonista in un film che rievoca una pagina importante, ma dimenticata, della storia del mio Paese», mi spiega l’attore. Nato a Berlino Est prima della caduta del Muro, una lunga gavetta in teatro, Fehling ha conosciuto la notorietà internazionale nel film Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino. Ma ora, grazie al Labirinto del silenzio, entra nello star system dalla porta principale. Ho voluto conoscerlo e ho scoperto un ragazzo gentile, semplice, per niente consapevole di essere un nuovo sex symbol, anzi sorpreso delle cose belle che gli stanno capitando.
Ha girato il film di Ricciarelli perché prevedeva il successo internazionale?
«Non sono il tipo che programma la carriera a tavolino. Quando ho letto la sceneggiatura, sono rimasto senza parole dall’emozione. Non conoscevo il regista, ma ero sicuro di voler girare il film».
Che cosa sapeva di quell’episodio storico?
«Molto poco, come tanti tedeschi della mia generazione. Tutti conoscono gli orrori di Auschwitz, ma quasi nessuno ha mai sentito parlare del processo del 1958 contro gli ex carcerieri. Non ho interpretato un ruolo come un altro. Ho avvertito una grande responsabilità».
E sul set che atmosfera si respirava?
«Eravamo tutti commossi, consapevoli di raccontare uno dei momenti più delicati della storia del nostro Paese».
Pensa di avere qualcosa in comune con il suo personaggio?
«Sono idealista anch’io nel lavoro. Lo faccio con passione e non mi tiro indietro di fronte alle sfide, anche quelle che sembrano impossibili».
Quando ha cominciato a recitare?
«Prima dei 12 anni. Ho iniziato a frequentare i gruppi teatrali della scuola e ci ho preso gusto. Ho capito che fare l’attore mi permetteva di capire la natura umana».
Come è stata la sua infanzia nella Germania dell’Est?
«Sono stato un bambino felice anche se avevamo poco ed eravamo isolati: quando non puoi fare paragoni, accetti quello che hai. Tutti pensano alla Germania dell’Est come un posto grigio, triste, pieno di spie. Ma la realtà è più complessa degli stereotipi».
E quando nel 1989 è caduto il Muro? Che ricordi ha?
«Sono corso, come tutti, dall’altra parte della città scoprendo che ogni cosa era diversa: le case, i vestiti della gente, perfino gli odori e i legumi. Vivo ancora a Berlino, attualmente è il posto più stimolante del mondo».
Se la sua carriera continua a crescere, prima o poi dovrà trasferirsi a Hollywood: ci ha pensato?
«La mia unica ambizione è quella di misurarmi con storie e interlocutori di qualità. Non c’è bisogno di andare in America, tanti film hollywoodiani si girano in Europa».
E cosa mi dice della sua vita privata?
«Non sono sposato e non ho figli. Fine. Mi scusi, ma vorrei essere ricordato per il mio lavoro».
D’accordo, ma siccome è anche un sex symbol deve soddisfare la curiosità delle fan, non crede?
«Non mi faccia ridere. Sono un ragazzo normale, non ho mai subìto assalti da parte delle ammiratrici. I sex symbol esistono nei film, non certo nella vita».
Ma quali qualità deve avere una donna per piacerle?
«Deve essere aperta e sicura di sé nel modo giusto, cioè non deve aver paura di mostrare le proprie fragilità».
Mi tolga una curiosità: come ha convinto Claire Danes, che è anche la produttrice di Homeland, a scritturarla?
«Ho provato con lei un paio di scene e ci siamo subito trovati sulla stessa lunghezza d’onda. Claire è una bellissima persona, capace di entrare in sintonia con tutti».
E con Tarantino com’è andata?
«Ho sostenuto il provino per ultimo, nessuno mi conosceva e avevo una grande paura di sbagliare. Infatti al primo tentativo ho fallito, poi abbiamo rifatto la scena ed è andata bene. Tarantino mi ha stretto la mano e mi ha detto: “Sei un giovane attore di grande talento”. Ho lasciato la stanza volando».
Che interessi ha al di fuori del lavoro?
«Leggo, viaggio, ascolto musica elettronica, quando posso corro. Faccio quello che fanno tutti».
E che rapporto ha con i social network?
«Pessimo. Non sono su Twitter o su Facebook, anche se esiste una pagina su di me. Io li chiamerei network asociali: con la scusa della condivisione allontanano le persone. Sarò all’antica, ma preferisco il contatto diretto».
Che cosa si aspetta dal futuro?
«Nulla, così non rischio di rimanere deluso. Sono molto onorato di aver girato il film di Ricciarelli e mi auguro di diventare un attore sempre migliore per raccontare storie capaci di far riflettere».
Fehling mi saluta con un grande sorriso. Non ho dubbi: è nata una star, prima o poi dovrà accettarlo anche lui.
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