Alessandra Amoroso: "Questo stadio mi stava aspettando"
San Siro, sotto il sole di luglio, sembra ancora più immenso e imponente: Alessandra Amoroso entra nello stadio di Milano quasi un po’ incredula. Si toglie le scarpe, cammina sul campo d’erba: la sua felicità la leggi negli occhi. «Non vedo l’ora di esplodere di gioia», dice.
È qui che il 13 luglio dell’anno prossimo riunirà i suoi fan per un concerto epocale, Tutto accade a San Siro, conquistando il palco più prestigioso della musica italiana e internazionale, dove si sono esibiti leggende del pop e del rock, da Bob Marley a Bruce Springsteen, da David Bowie a Michael Jackson, da Vasco Rossi a Lorenzo Jovanotti. E sarà la seconda donna a entrare come regina dopo Laura Pausini. «Sono davvero felice. Ma se sono arrivata qui, lo devo alla mia “big” ( vale a dire la sua big family, come chiama Alessandra il suo enorme gruppo di fan, ndr).
In questo momento vorrei entrare nella loro pelle per sentire le loro emozioni». Sono sensazioni di stupore e orgoglio quelle che i suoi fan le scrivono sui social: «Ti sei fatta largo tra i giganti, brava piccola ma grande Ale»; «Grazie per questo regalo immenso»; «Sto piangendo, ridendo, urlando»; «Quanta strada, non possiamo che essere fieri»; «Ma come ci siamo arrivati a San Siro? Te lo meriti». La vera magia di Alessandra Amoroso è di essere riuscita a creare con i suoi fan un grande legame d’affetto. «La musica ci ha fatto incontrare, ma so che se un giorno facessi altro ritroverei la “big” ugualmente accanto a me. Il sentimento che ci unisce è vero e forte».
A San Siro Alessandra celebrerà più di 12 anni di carriera e presenterà dal vivo il nuovo disco di inediti Tutto accade, che uscirà in autunno. Che effetto le fa entrare in questo stadio che la vedrà protagonista di uno show musicale indimenticabile?
«È pazzesco. Ho iniziato a pensarci due anni fa, dopo il mio ultimo tour nei palazzetti, in cui a volte abbiamo triplicato le date, ma era un’idea lontana. Poi due mesi fa Ferdinando Salzano (numero uno in Italia nell’organizzazione dei concerti, ndr) mi ha detto: “Ti do una notizia”. Ho pensato subito: “Che ho fatto? Qualche stupidaggine?”. “L’anno prossimo farai San Siro”. Ferdinando continuava a parlare, ma ero talmente strabiliata che ho smesso di ascoltare».
Sarà la seconda donna a calcare quel palco, dopo Laura Pausini nel 2007.
«Mi sento fortunata. E spero di passare il testimone nei prossimi anni a molte altre donne in una staffetta femminile: sfatiamo il mito di uno stadio tutto maschile».
Ha giocato nella Nazionale cantanti e ha portato fortuna a quella di calcio: Sky aveva scelto il suo brano Sorriso grande come colonna sonora dell’Europeo.
«Alle elementari collezionavo le figurine Panini sui giocatori. Ero molto tifosa del Milan di Ruud Gullit, Marco Van Basten e George Weah. Poi ho smesso, ma mi è rimasta la passione di giocare e quando finiamo un tour abbiamo la tradizione di sfidarci a calcio: tecnici contro staff, uomini e donne insieme. Un rito goliardico. Sono attaccante e obblighiamo perfino Orni Rock (Ornella Mione), che si occupa dei camerini e odia il calcio, a scendere in campo».
Ornella rende cioè meno impersonali i camerini?
«Fa magie: monta tende, porta tavolini, mette l’incenso, mi prepara la frutta: vengo viziata da tutti i miei tecnici e li vizio anch’io. Con alcuni siamo cresciuti insieme, collaboriamo da 12 anni e mezzo e condividiamo interi pezzi di vita, tra gioie, delusioni, amori, nascite di bambini. Ho iniziato con Francesco Riversi, detto Cisco, il mio backliner, la mia ombra (si occupa della strumentazione musicale durante lo show, ndr), con il fonico di sala, Gianmario Lussana, e tutta la band. Siamo una famiglia itinerante».
Qual è l’incontro che le ha cambiato visione del mondo?
«Più che un incontro, è stata una perdita. Sono cresciuta con mia nonna Maria: la sua morte ha cambiato le mie priorità. La sua sofferenza nella malattia, l’Alzheimer, mi ha fatto capire ciò per cui valeva la pena di piangere e di vivere. Ma mi ha segnato anche l’incontro con la mia psicologa».
Che difficoltà l’ha aiutata a superare?
«Il primo lockdown l’ho passato da sola. Avevo paura del buio: ho sempre dormito con qualcuno, prima le mie sorelle, poi il fidanzato, ma in quel momento mi sono ritrovata nella solitudine. Per le strade non c’era nessuno e, quando andavo a fare la spesa, mi sembrava di essere in una scena della serie tv The Walking Dead, in un mondo colpito da un virus, popolato da zombie: quando incontravo qualcuno, cambiava corsia. Ero bardata con mascherina, guanti, cappello, piena di igienizzanti: ora ci scherzo su, ma è stato traumatizzante. Avevo pensieri che non riuscivo a collegare e l’idea di parlare con qualcuno per un’intervista mi bloccava. L’analisi mi ha aiutato. Il mio limite più grande ero io: mi giudicavo, mi criticavo. Mi vedevo come la meno bella, meno adatta, meno talentuosa».
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