Sul grande schermo Sergio Rubini è lo psicoanalista di Pietro Sermonti e Ambra Angiolini. Ma in realtà, dice l’attore a Grazia, lui ha paura di ogni dipendenza. Anche sentimentale
Federico mi portava in giro e mi presentava a tutti dicendo: “È un Capricorno, come me”, mentre sapeva benissimo che sono Saggittario. Giocava sempre e amava il non detto, per capirlo dovevi cercare fra le pieghe delle sue parole».
L’attore Sergio Rubini indossa un elegantissimo completo blu. Mi sta raccontando uno degli aneddoti del suo incontro con il regista Fellini, che ha interpretato in Intervista quando era ancora un ragazzo. Siamo seduti sulla terrazza dell’Hotel Excelsior, al Lido di Venezia, e mentre parla sprigiona un fascino superiore a quello che mi aspettavo.
Non dimostra affatto i suoi 58 anni: merito, come scoprirò presto, della sua natura da “fuggitivo”. Anche lui ha un ruolo importante nel film Terapia di coppia per Amanti, di Alessio Maria Federici, con Ambra Angiolini e Pietro Sermonti. Subito dopo lo vedremo su Rai Uno nella serie tv La strada di Casa, di Riccardo Donna, anche questo tratto dal bestseller di Diego De Silva, con Alessio Boni, Lucrezia Lante Della Rovere e Thomas Trabacchi.
Sono passati pochi minuti dall’inizio della nostra conversazione e noto che inizia a muovere nervosamente le gambe sotto il tavolo. Gli chiedo se sta comodo, lì sulla sedia dove si trova. «La scomodità è una mia peculiarità», mi dice conservando quell’aria un po’ sulle spine per tutto il resto dell’incontro.
Ci racconti il suo personaggio in Terapia di coppia per amanti.
«Sono lo psicoanalista di Viviana e Modesto, che sono una coppia, ma non nel senso tradizionale del termine». E in quale senso? «Sono due esseri umani travolti dalla passione. Come dice il titolo della pellicola, sono due amanti che mi chiedono aiuto. Li porterò a scoprire di avere paura sia dei progetti sia dei desideri».
Anche lei, psicoanalista, ha a sua volta un’amante. Si definirebbe un tipo sfuggente, nella vita sentimentale?
«Caratterialmente mi spaventano le dipendenze, anche in amore. Mi piace scegliere quotidianamente, non restare in un solco perché mi sento incastrato».
Però poi crea sodalizi lunghissimi, come quello lavorativo con l’attrice Margherita Buy, che in molti erroneamente pensano ancora essere sua moglie, mentre è legato da anni alla sceneggiatrice Carla Cavalluzzi.
«Forse perché credo negli incontri, mi piace vivere, incontrare e rincontrare le persone. Mi dà l’idea del tempo che trascorre, mi sembra che la vita sia un grande viaggio che facciamo tutti insieme».
Sullo schermo sfugge le categorizzazioni: ha interpretato estroversi, cinici, navigati, inquietanti, timidi, semplici, umili, malinconici e tanti altri personaggi ancora.
«Gli attori si devono trasformare, è vero. Ma pensi che non avevo mai pensato al cinema, mi è capitato per caso. Avevo già lavorato in teatro, ho portato le mie fotografie per un provino e mi sono ritrovato catapultato in Figlio mio, infinitamente caro, del regista Valentino Orsini, da protagonista, accanto agli attori Ben Gazzara e Mariangela Melato. Avevo 22 anni, da lì in avanti ho girato cento film, fra cinema e tv».
Un vero punto di svolta.
«Orsini mi ha fatto scoprire di poter fare cinema, una cosa enorme per uno come me, che ha sempre avuto problemi con la propria immagine».
Non si piaceva?
«No, mi sentivo troppo magro, mettevo i vestiti due taglie in più della mia, senza sapere che così peggioravo le cose».
Poi sono arrivati gli incontri importanti, come quello con i registi Federico Fellini, Giuseppe Piccioni e Gabriele Salvatores.
«Gabriele mi ha chiamato quando doveva girare Nirvana. Ho avuto l’idea di costruire Joystick, un personaggio di un film futuristico che parla in barese. Alla fine è finita che abbiamo girato tre film insieme».
A proposito di dialetto barese, nessuno come lei sa raccontare il proprio piccolo mondo trasformandolo in una metafora universale. Nel primo film da regista, La stazione, che ha anche interpretato, racconta le vicende di un capostazione, il lavoro che faceva suo padre.
«Le persone della tua vita sono quelle che racconti meglio. Io parto sempre da storie che diano un senso perché è quello che cerchiamo tutti nelle gioie, negli strappi, negli amori. Non mi preoccupo di essere universale, noi italiani quando siamo provinciali diventiamo internazionali. E qui torniamo a Fellini».
La strada di casa, prodotta dalla Casanova, è la serie tv in cui la vedremo dal 2 novembre.
«Sarò l’antagonista del personaggio di Alessio Boni. È la prima volta che faccio qualcosa di seriale, spero che la Rai riesca a competere con Sky e Netflix in questo modo di raccontare. Si punta su personaggi più obliqui, non necessariamente vincenti e irreprensibili. Si tratta di uomini più scassati, ma almeno non si parla né di mafia, né di delinquenti».
Ultima domanda: che cosa le ha lasciato suo padre, un uomo così importante per lei da essere coinvolto in un suo film?
«Mi ha insegnato che il pittore Paul Cézanne ha dipinto la stessa montagna ben 50 volte, con condizioni luminose diverse, e che in un suo quadro ti puoi perdere. Mi rompevo le scatole quando mi portava alle mostre. Ma non smetterò mai di ringraziarlo, è stato lui a insegnarmi la passione per la bellezza».
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