Matilda De Angelis: E poi il regista ha detto «Spogliati»
Matilda De Angelis non è solo l’attrice più promettente del cinema italiano. Ma è anche una giovane donna che ha vinto l’anoressia e la voglia di coprire gli specchi con le lenzuola. Fino a diventare così determinata da reagire senza paura al provino più difficile della sua carriera
A Milano è buio e freddo, nonostante sia iniziata la primavera. Matilda De Angelis sta finendo di mangiare una grande cotoletta, come si conviene a una bolognese trapiantata a Roma, appena arrivata in città. Si muove dolcemente, ma pensa e parla in fretta. Non ha malizia, Matilda, né imbarazzi. Ha 22 anni.
Non resisto e le dico subito che assomiglia all’attrice Jennifer Lawrence. «Me lo dicono in tanti. A me non sembra, magari fosse vero», e ride camminando nella notte milanese, nel breve tratto di strada che separa il ristorante dal suo albergo. A Matilda piace parlare delle altre donne: «Ho una fascinazione per quelle belle, simpatiche, intelligenti. Mi piacciono, le ammiro». Una sulle altre: l’attrice inglese di origini ghanesi Michaela Coel. «Ha scritto e prodotto una serie tv geniale, Chewing Gum. E ha anche un sedere bellissimo».
Matilda l’ha conosciuta al festival di Berlino, dove lei è stata scelta dall’Istituto Luce per rappresentare la “shooting star” italiana, cioè il personaggio cinematografico sotto i 30 anni, che si è distinto per una particolare interpretazione. Tra il 2016, anno dell’esordio pluripremiato con Veloce come il vento, e oggi che YouTopia, il film che racconta la storia di una ragazza che mette all’asta online la verginità, sta per uscire, il nome di Matilda è tra i più citati del panorama cinematografico italiano. Eppure, lo sbagliano sempre. Anche su questo argomento, ride: «Finisce con la “A”, non con la “E”. Mi aspetto di trovare almeno un “Matilde” in questa intervista, mi raccomando».
Ed è divertente sentirla parlare, con quello strano accento ibrido tra bolognese e romano. Così ironica, solare e, sembra, per niente invidiosa. «Vero. Sono competitiva, ma l’invidia non fa parte di me. Non mi interessa. Il tuo successo non è il mio insuccesso. La mia mamma, buddhista, mi ha insegnato che dal pensare male degli altri non si trae mai niente di positivo».
Da che cosa si trae qualcosa di buono, invece?
«Per esempio dal trasformare l’invidia in ammirazione: “Vorrei essere anche io lì”, al posto di “Vorrei che non ci fossi tu”. È il negativo della stessa fotografia: se guardi la cosa al positivo, per la legge di attrazione universale, qualcosa di positivo ti tornerà, sempre».
Anche lei è buddhista?
«No. Amo il pensiero, l’ho interiorizzato, ma non lo pratico per rispetto di una cultura che ha bisogno di costanza. Non riuscirei mai a praticare mattina e sera 30 minuti di “Nam myoho renge kyo” (il mantra del buddhismo Soka Gakkai, ndr). Al momento non so neanche dove mi addormento e dove mi risveglio il giorno dopo...».
È religiosa?
«Atea. Neanche battezzata. Si vive bene lo stesso. Mi dispiaceva solo, da piccola, che agli scout non conoscevo le parole delle preghiere e delle canzoni in chiesa».
C’è qualcosa che la fa arrabbiare?
«Chi mastica la gomma facendo rumore e l’ignoranza, in tutte le sue forme»
Di sé, che cosa le piace di più?
«Esteticamente? Le mie clavicole. Sono molto... protagoniste, sempre lì, in evidenza».
L’ultima volta che si è sentita bella?
«Alla Mostra del cinema di Venezia, con indosso un vestito da principessa fatto di tulle e pizzo».
Perché tutte le donne amano vedersi “principessa”?
«Perché è importante esaltare anche la nostra parte infantile e superficiale. Ogni tanto mi guardo allo specchio, noto qualche brufolo, e mi dispiace. Allora me la prendo con me stessa: mi dico che devo essere più di questo, che voglio essere amata per la mia personalità, che voglio essere considerata una brava attrice. Però poi vorrei anche non avere i brufoli. È umano volersi sentire bella».
Il principe azzurro esiste?
«Sì, in tante forme. È il modo in cui l’amore deforma l’uomo che hai davanti, elevato in potenza, da quello che provi tu. Ma nessuno ha mai detto che ti porta l’amore eterno. Di quello non sono così convinta».
È sempre fidanzata con il collega attore Andrea Arcangeli?
«Sì. E ci divertiamo molto. Siamo innamorati al di là del nostro lavoro, e non ci prendiamo mai troppo sul serio».
Perché molti attori, quando si fidanzano tra loro, lo tengono nascosto?
«Perché danno troppa importanza al loro lato pubblico. È vero, è delicato: ci sono cose che non puoi fare, sei esposto al giudizio degli altri, alla mancanza di privacy. Hai la responsabilità di dovere mandare certi messaggi e certi altri no. Ma io mi chiedo: se non facessi l’attrice, pubblicherei le foto col mio fidanzato al mare o mentre mangiamo un gelato? Sì, lo farei. Essere un personaggio pubblico, che cosa cambia? Forse sbaglio a non pensare che gli altri ficchino il naso nelle mie cose, ma non ci penso e basta».
Qual è un messaggio che pensa di dover mandare, per il suo ruolo?
«Non mi piace promuovere ideali che non conosco. Sarà che sono un’attrice, di natura egocentrica ed egoriferita, ma spendo parole solo su esperienze che conosco, che ho vissuto e provato sulla mia pelle. Perché penso di poterle raccontare meglio e di dare migliori consigli. Se parli sinceramente, restituisci una verità più forte».
Qual è l’esperienza che l’ha segnata?
«Intorno ai 16-17 anni ho sofferto di disturbi alimentari. Ero anoressica. Fino a qualche anno fa ne parlavo a fatica, e anche oggi non mi piace farlo: non è bello ricordare. Ma mi è capitato di pubblicare su Instagram una mia foto con le smagliature sulle cosce, e di sentirmi in dovere di dire alle altre ragazze che è importante imparare ad amarsi e ad accettarsi. Molte volte ci sono cose insuperabili: o le accetti, oppure lotterai sempre con te stessa e contro qualcosa che esiste solo nella tua testa, ma che senti così tanto reale da spezzarti il fiato, toglierti la voglia di uscire la mattina e farti venire quella di coprire gli specchi con le lenzuola. Io l’ho vissuto e non lo auguro a nessuna»
« Intorno ai 16-17 anni ho sofferto di disturbi alimentari. Ero anoressica. Fino a qualche anno fa ne parlavo a fatica, e anche oggi non mi piace farlo »
Che cosa la rende felice?
«In questi giorni, l’arrivo della primavera. Il ciclo continuo che muore e rinasce: mi dà un senso di speranza, di energia. E tanto altro: un messaggio carino di una persona che non conosco, una foto dei miei cani che corrono al parco, un gelato, un complimento del mio ragazzo».
Il più bel complimento che abbia mai ricevuto?
«Me l’ha fatto Andrea. Mi ha detto che il momento in cui mi trova di una bellezza disarmante è quando sto per andare a letto, struccata, con la crema per i brufoli in faccia».
Per il film YouTopia, che verrà presentato in anteprima agli incontri internazionali di cinema in programma a Sorrento dal 18 al 22 aprile (e poi in sala dal 25 aprile), si è trovata davanti un regista che le ha detto: «Adesso spogliati». E lei?
«Prima mi sono messa a piangere, poi ho iniziato a sbraitare: “Questa non è professionalità! Nessuno mi aveva avvisata!”».
Ha temuto che Berardo Carboni volesse molestarla?
«Ho capito però, subito dopo, che è un uomo onesto, dedito al suo lavoro. Voleva solo mettere alla prova la mia disinvoltura, in una scena molto intensa e complessa del film».
Che cosa pensa di quei registi che, in una situazione simile, si sono invece approfittati del loro potere?
«Io credo che una donna intelligente riesca a distinguere tra avances, violenza, richiesta, flirt. Ci sono situazioni diverse. Sono sempre spaventata dagli estremismi. Noi siamo padrone di noi stesse, dobbiamo poter scegliere se dire no, così come essere libere di stare al gioco. E capire se una persona è innocente oppure no».
Lei avrebbe messo in vendita in un’asta online la verginità come fa la protagonista del film? Essere vergini è ancora un valore?
«Forse lo era di più nell’era non-social, quando la verginità significava dare veramente accesso a una parte di te che nessun altro può avere: l’intimità, la nudità. Però, sì, perderla è ancora un rito di passaggio importante per una donna. Da fare nel momento in cui ti senti pronta a compiere un salto».
La sua prima volta?
«A 18 anni, a Londra, con il mio fidanzato di allora, il bassista del mio gruppo».
E il primo bacio?
«Terza media, a Pianoro, appennino bolognese, gioco della bottiglia. Solo a stampo, niente lingua».
Qual è il ruolo che sente più lontano da lei?
«Sarei pronta a fare qualsiasi cosa, ma faccio più fatica – e infatti non mi prendono mai – nelle parti delle ragazze un po’ timide, in balia degli altri». Le “poverine”? «Io avrei usato un altro termine, più forte, sa le “mosce”? Ma ha ragione, meglio dire le “poverine”, sì. Quelle a cui ti viene da dire: “Su, che ce la puoi fare”. Anche oggi ho fatto un provino per una “poverina”. Ah, quanto mi è venuto male. Mi dicevano: “Sei troppo presente, guardi troppo”».
Il ruolo che sogna, invece?
«Sono tre. Primo: il supereroe. Secondo: un transessuale donna diventato uomo. Terzo: in un musical».
È anche una cantautrice, il musical potrebbe scriverlo direttamente lei.
«Magari un musical su una donna che decide di diventare uomo, ma durante l’operazione c’è un blackout in ospedale, e lei acquisisce un superpotere plastico, per cui può diventare non solo uomo, ma tutto quello che vuole. Lo proporrò. Però ho il sospetto che non me lo produrranno mai».
Se dovesse scegliere, meglio musica o cinema?
«Incomparabili. È la domanda più difficile del mondo. Musica. No: cinema. No no: musica. Anzi: cinema».
L’amore che cos’è per lei?
«Il girasole impazzito di luce» Cioè? «La poesia: Portami il girasole di Eugenio Montale. In pochi versi il poeta è riuscito a spiegare l’amore».
La ricorda a memoria?
«Portami il girasole ch’io lo trapianti /nel mio terreno bruciato dal salino... Continuo? Sì, la so tutta».
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