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Lifestyle

Jo Champa: “Vi porto nel cuore di Hollywood”

Jo Champa: "Vi porto nel cuore di Hollywood"

foto di Laura Collura Laura Collura — 14 Febbraio 2017

È amica dei più grandi divi. E in vista degli Oscar, dove tutti si aspettano una nuova puntata della guerra tra il mondo del cinema e il presidente Donald Trump, l’ex attrice e oggi conduttrice tv si prepara a raccontare quello che non vedrete mai sui red carpet. Dalle lacrime di Nicole Kidman ai maghi che possono decidere il destino

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Jo Champa è alla sua terza vita. Negli Anni 90 era attrice e modella in Italia, poi è diventata moglie di Joseph Farrell, potente manager hollywoodiano a Los Angeles, e oggi, a 49 anni, è mamma di Sean, 12 anni, e giornalista televisiva per Sky Cinema. Qui dal 18 febbraio sarà la conduttrice di Jo’s Hollywood, il programma di documentari e interviste con i divi che anticipa la notte degli Oscar del 26 febbraio. Sarà una serata particolare, dato che tutto il mondo, dopo gli exploit dei Golden Globes, si aspetta una nuova puntata dell’ormai quotidiana guerra tra i divi di Hollywood e il presidente Donald Trump, sempre più contestato dopo le sue misure restrittive nei confronti dell’accoglienza di migranti e cittadini stranieri. Parleremo anche di questo con Jo, l’italiana che, come una minuta ed elegante araba fenice, a ogni svolta si è reinventata, è rinata e si è lanciata nella nuova versione di se stessa senza guardarsi indietro.

«Quando sono rimasta vedova di Joe (morto nel 2011 a 76 anni, ndr), avrei voluto infilarmi a letto e dormire per sempre», dice, accoccolandosi, in leggings e senza scarpe, su uno dei divani color crema della sua luminosa casa di Santa Monica, a pochi isolati dalla spiaggia. «Ma non l’ho fatto. Il fallimento non è mai stata un’opzione, per me. Mio figlio non mi ha mai vista piangere per suo padre, che pure è stato l’amore assoluto della mia vita. Tutte le mattine lo accompagnavo a scuola, poi mi mettevo in macchina, parcheggiavo davanti al mare, accendevo la musica e urlavo da sola per ore».

Ci tiene a sottolineare di non essersi mai sentita vittima della vita, nemmeno nei momenti peggiori: «Lo dico sempre a Sean. Non sei una vittima. Sei un privilegiato. Certo, hai perso il papà, ma hai ancora me, e hai, abbiamo, una vita bellissima, con questa casa, viaggi stupendi, amici carissimi. Dopo la morte di Joe, invece di imbottirmi di pillole e di alcol, ho scelto di rimboccarmi le maniche», dice l’attrice.

Con Jo’s Hollywood, la tua trasmissione sugli Oscar, ti proponi di raccontare il mondo dello spettacolo come nessun altro. Che cosa offri in più?

«Conosco Hollywood molto bene, non soltanto la parte creativa, ma anche quella dei produttori, che poi sono quelli che staccano gli assegni. Voglio quindi trasmettere la mia esperienza, che è diversa da quella di chiunque altro. Voglio far capire chi ha in mano il gioco, chi sono quelli che fanno muovere Hollywood. Ad esempio: ho intervistato la produttrice Jenno Topping, che non è soltanto bella e simpatica, ma anche una delle donne più potenti nel cinema. Quindi io la metto accanto ad attrici come Jessica Chastain, che è pazzesca, o a Viola Davis. E non è un caso. Poi racconto aspetti sconosciuti, ad esempio l’esperienza nel cimitero delle celebrità Hollywood Forever, dove si proiettano film, si organizzano feste e picnic e, di notte, si tengono vere e proprie riunioni. Chi ha mai visto, in Italia, cose del genere in un cimitero? Oppure parlo del fenomeno dei medium di Hollywood. Sono una categoria frequentatissima. Sceneggiatori, attori, grossi produttori, che prima di prendere una decisione si consultano con la maga. Tutti ci vanno, ma nessuno lo ammette».

Come sei arrivata a essere così introdotta?

«Soprattutto grazie a mio marito, ma anche alla mia capacità di muovermi, fare amicizia. Lui mi ha insegnato come funziona qui. Mi diceva: “Hollywood è una piramide di potere, ma è anche una scacchiera”».

E tu che pedina saresti?

«Io sono la regina. Dal mio punto di osservazione posso arrivare a chiunque, davvero. E non soltanto posso coinvolgere nomi che normalmente non si renderebbero accessibili a una trasmissione televisiva, ma anche di far loro domande che un giornalista, per quanto connesso e conosciuto, non potrà mai fare. Perché queste persone sono miei amici per davvero, si fidano di me. Sono disposti a mostrare la loro vulnerabilità, il loro lato umano. E io non li tradisco, loro lo sanno».

Come mantieni l’equilibrio?

«Faccio un esempio: recentemente ho intervistato Nicole Kidman. Io e Nicole ci conosciamo da molti anni, e non ci incontravamo dai tempi della fine del suo matrimonio con Tom Cruise. Quando mi ha vista, le sono venute le lacrime agli occhi, perché entrambe sapevamo come si sentiva l’ultima volta che eravamo faccia a faccia. Poi abbiamo parlato per il programma, e lei si è aperta con me come non avrebbe fatto in un’intervista normale. Ho potuto chiederle della solitudine, proprio perché io sapevo che è stata a lungo una donna molto sola. Però ho anche visto che si stava commuovendo e ho sviato il discorso, per aiutarla a riprendersi. Perché io resto comunque l’amica. Non ti metto in difficoltà in trasmissione. So già che queste persone sono continuamente giudicate e voglio proteggerle.che si stava commuovendo e ho sviato il discorso,

Tu conosci molto bene anche il mondo del cinema italiano. Dove vedi la differenza con l’America?

«In Italia ho solo fatto l’attrice, non ero la moglie di Joe. Avevo una visione comunque ristretta. Qui, con lui, mi si sono aperte le porte principali. In ogni caso, posso dire che si tratta di due mondi completamente diversi. Per capirci, l’Italia rappresenta una piccola luna orbitante, mentre Hollywood è Giove. È proprio una questione di dimensione del giro d’affari. In Italia non si produrranno mai film da 200 milioni di dollari. Ma questo significa anche che, invece, qui i cambiamenti tecnologici si sentono subito e possono avere effetti imprevisti».

In che senso?

«Per esempio Hollywood oggi è in subbuglio, perché siamo passati molto velocemente dalla tv via cavo all’era digitale. Tutta la struttura produttiva deve cambiare per adattarsi. Ma il giro di soldi porta anche a una stagnazione delle idee. Mancano i racconti. A ogni produzione si rischiano miliardi, e quindi spesso si preferisce, al posto di un nuovo film, girare un sequel per andare sul sicuro».

Sei nata in America, cresciuta in Italia, tornata in America. Mi racconti il tuo percorso?

«Sono del New Jersey, ma mio padre è calabrese. Faceva il cardiochirurgo e quando avevo 7 anni ha deciso di tornare in Italia, voleva restituire al suo Paese quello che aveva ricevuto. Era una specie di Robin Hood: se eri ricco, ti faceva pagare, ma se eri povero, ti operava gratis. Siamo stati a Catanzaro per due anni, ma lì papà non era ben visto, veniva percepito come una minaccia da molti colleghi. Allora siamo andati a Roma. Adesso mio padre ha 93 anni e abita ancora lì. Io sono rimasta a Roma fino alla fine degli Anni 90, poi sono venuta a Los Angeles. Nel giro di due mesi ho incontrato mio marito e ci siamo innamorati. La nostra è stata una fiaba. Sembravamo così diversi, per età, cultura, e invece eravamo uguali, stessi valori, stessa visione della vita. Da Joe ho imparato tutto, anche a interagire con chiunque, attori, politici, potenti di ogni tipo. Mio marito amava molto la mia capacità di adattarmi a ogni contesto».

Ti senti più una classica mamma italiana o americana?

«Sono italiana al cento per cento. E me ne vanto. Se qualcuno prova a toccare mio figlio, deve vedersela con me. Lo difendo con le unghie. Allo stesso tempo, cerco di essere molto aperta con lui. Gli dico: se vorrai provare a fumare, a bere, vieni qui, fallo a casa con me. Voglio che me lo dica. Qui in America c’è un certo puritanesimo, un moralismo che nei suoi risvolti mi preoccupa. Poi si finisce come nelle serie televisive tipo Twin Peaks, dove tutto accade di nascosto. Io sono per le cose alla luce del sole. A mio figlio insegno anche che è importante capire chi davvero ci tiene a te e chi ti farà soltanto del male».

Come ha vissuto Sean la perdita del papà?

«Dopo la morte di mio marito, mio figlio è stato vittima di bullismo a scuola. Ho dovuto cambiare tutto della nostra vita: ho mollato la casa signorile di Bel Air, troppo grande e isolata per noi due soli, e sono venuta qui a Santa Monica, dove ci sono i marciapiedi per giocare in strada e si fa amicizia facilmente. In quei mesi ho capito con chi valeva la pena aprirsi e chi andava definitivamente eliminato dalla nostra vita».

Come concili la vita privilegiata che gli offri con la necessità di capire il mondo?

«Non è facile, perché davvero qui viviamo in una bolla di privilegio. Cerco di aprirgli gli occhi».

Hollywood è sul piede di guerra nei confronti delle ultime misure restrittive sull’immigrazione del presidente Trump. Tu che cosa ne pensa?

«Questa settimana ho sostenuto economicamente un progetto a favore dei rifugiati siriani. Allora ho detto a Sean: “Nel weekend, andiamo a San Diego a incontrare alcuni di loro, per vedere come vivono quei bambini”. Perché è importante sapere che la comunità hollywoodiana non è solo capace di parlare bene durante le serate di gala, ma ha un gran cuore, è impegnata, compassionevole e generosa. A mio figlio voglio insegnare a non vedere il colore di una persona, ma a cercarne il carattere. E lui già lo fa».

© Riproduzione riservata

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