Christian Bale: «Non è tempo per uomini romantici»
Sceglie ruoli cupi e difficili, personaggi scontrosi e di poche parole, trova divertenti i serial killer ed evita le commedie. Abbiamo incontrato Christian Bale alla vigilia di Ostili, un film che obbligherà l’America di Donald Trump a riflettere meglio sul tema della tolleranza
Hollywood è strana. Incontro Christian Bale dopo averlo visto nei panni di un soldato del vecchio West, rancoroso e vendicativo, ma dopo cinque minuti ci troviamo a parlare dei pantaloni elasticizzati che indossa in questo momento: «È l’unica cosa che non mi va stretta», dice.
Bale, 44 anni, è alle prese con una delle sue ormai famose trasformazioni: sta ingrassando una ventina di chili, ma forse anche di più, per interpretare l’ex vicepresidente americano Dick Cheney diretto da Adam McKay e al fianco di Amy Adams.
Cerchiamo insieme di ricordare le sue imprese precedenti: i 27 chili persi per interpretare L’uomo senza sonno nel 2004 e L’alba della libertà nel 2006, o i 30 guadagnati per essere Batman, fino all’ennesima dieta per The Fighter, film che nel 2011 gli è valso l’Oscar come miglior attore non protagonista. «Nel mio lavoro è importante non somigliare mai a se stessi», spiega. «Se mi guardo allo specchio e non mi riconosco, vuol dire che sono sulla buona strada».
« Nel mio lavoro è importante non somigliare mai a se stessi. Se mi guardo allo specchio e non mi riconosco, vuol dire che sono sulla buona strada »
L’argomento attualità che tocchiamo subito è quello del mondo del cinema dopo le denunce dei movimenti anti-molestie ai danni di tanti produttori e registi.
Bale stesso ha superato, per ora senza conseguenze, un paio di storie di violenza che lo hanno riguardato nel 2008: un’aggressione verbale ai danni del direttore della fotografia di Terminator Salvation durante una scena, poi una denuncia per aggressione - ritirata - da parte della sorella Sharon e dalla madre Jenny James.
Sono passati 10 anni da allora e Christian, che è anche il figliastro della femminista americana Gloria Steinem, oggi dice: «Sarà difficile che Hollywood possa ignorare gli episodi di cui abbiamo sentito parlare, trattandoli come polvere da nascondere sotto il tappeto. Questa rivoluzione è qui per restare».
Christian fa parte di quella categoria di attori che hanno trovato la loro strada nell’immedesimazione totale con i personaggi che interpretano. La sua specialità sono gli uomini cupi, di poche parole, che vivono con un’ombra nel cuore. In Hostiles - Ostili, nelle sale, l’attore britannico è il capitano dell’esercito americano Joseph J. Blocker che, dopo una vita segnata dalla guerra coi pellerossa, accetta di scortare un capo Cheyenne prossimo alla morte fino alle terre natie del suo popolo.
È un film che fa riflettere sulla tolleranza e l’integrazione anche nell’America di oggi, segnata ancora dalle tensioni razziali e dalle controverse politiche del presidente Donald Trump nei confronti delle migrazioni.
Crede che per il regista Scott Cooper Hostiles - Ostili sia una denuncia sul tema dell’accoglienza e della diversità?
«Le riserve indiane non erano altro che prigioni per condannati a morte. Quello dei nativi americani è stato uno dei genocidi più lunghi della storia. Oggi, invece, i problemi della convivenza si ripresentano in altre forme. Non ci sono riserve, ma il punto è sempre lo stesso: bisogna imparare, come succede al mio personaggio, ad avere compassione e rispetto per la vita degli altri».
Lei è famoso per immergersi a fondo nelle storie che racconta. Che cosa ha appreso dalla cultura dei Nativi d’America?
«Dai Cheyenne ho imparato che non puoi sempre correre in avanti. Ci sono momenti in cui devi fermarti, appianare le incomprensioni e così rinsaldare il legame con gli altri. Nella loro cultura c’è una visione circolare della vita e del tempo, mentre noi siamo più lineari: per noi tutto procede sempre e solo in una direzione».
E dell’America del 19° secolo che cosa ha capito?
«A quel tempo gli uomini non si guardavano mai allo specchio, non sapevano che suono avesse la loro voce e non avevano la consapevolezza di loro stessi che abbiamo noi. L’America di oggi, invece, va veloce, vuole tutto e subito. Quella di ieri no: la vita allora andava lenta ed era intervallata da lunghissime pause. Era un mondo in cui si parlava poco e si passava molto tempo a pensare».
Per L’uomo senza sonno si era ridotto pelle e ossa dormendo solo due ore per notte. Per Hostiles - Ostili come si è preparato?
«Ho lavorato sull’idea di distanza. Ho trascorso ore e ore in silenzio sulla sella di un cavallo e ho meditato molto. Mi sono reso conto che, nei mesi in cui lavoro a un ruolo, più conosco persone interessanti, più sento il bisogno di allontanarmi da loro per non farmi influenzare. Anche per questo in famiglia dicono che mi comporto come un eremita».
Che cosa succede in casa Bale quando sua moglie “Sibi” Blazic, produttrice, e i suoi figli Emmaline e Joseph, 12 e 3 anni, si trovano in casa un padre immerso in una parte?
«Ormai mi conoscono. Quello che amo di più del mio lavoro è che mi permette di comportarmi in maniera ossessiva, senza che nessuno mi possa criticare per questo».
E c’è anche un aspetto negativo?
«Sì, finisci per affrontare continuamente alti e bassi: metti tutto te stesso in un progetto e poi, magari, quel film è un flop. Allora vorresti dire: “Basta, ci rinuncio”. Ma poi qualcos’altro cattura la tua attenzione e sei di nuovo in pista, di nuovo coinvolto».
È così capace di cambiare anche fuori dallo schermo?
«Mi ci è sempre voluto molto tempo prima di vedere davvero i cambiamenti. Ho sempre trovato difficile individuare il momento esatto in cui qualcosa si trasforma in altro».
Ora lei si sta trasformando per il film su Dick Cheney, che fu vicepresidente del repubblicano George W. Bush. È la seconda volta che lei, britannico, cerca di spiegare la storia agli americani.
«Il mio compito nell’interpretare Cheney (tra i responsabili della risposta americana agli attentati dell’11 settembre 2001, ndr) non è giustificare le sue azioni, ma capire il suo modo di essere in pubblico e in privato. Parliamo di un esponente del partito repubblicano americano, quindi un conservatore, che non ha esitato un momento a prendere le parti di sua figlia Mary, quando lei ha dichiarato di essere lesbica. Per il partito fu come una maledizione, lui invece si comportò come un bravo padre che dice: “Al diavolo la politica, questa è la mia bambina”».
A proposito di figli: sua madre era una performer circense e sua moglie è una produttrice cinematografica. La vostra primogenita mostra già qualche talento di famiglia?
«Emmaline non ha mai visto un mio film e per questo pensa che io sia il peggior attore del mondo. Un giorno, un po’ controvoglia, mi ha accompagnato a un incontro con il regista Werner Herzog, un mito del cinema. Una volta lì, mentre tutti ci salutano, si gira verso di me con il viso di chi sta per dire qualcosa come: “Ti voglio bene papà, sono orgogliosa di te”. Io avevo già una lacrima pronta a scendere sulla guancia e invece mi dice: “Che noia papà, quando andiamo via?”. Insomma, in famiglia è lei che mi tiene con i piedi per terra».
Forse dovrebbe dedicarsi a qualche film romantico e mettere da parte i suoi soliti ruoli “difficili”. È vero che le commedie non le piacciono?
«Sono fatto a modo mio, per esempio trovo divertenti film come American Psycho (in cui Bale era un rampante di Wall Street che si trasformava in serial killer, ndr). E, dopo aver detto questo, mi chiedo davvero chi potrà mai volermi in una commedia».
Di sicuro, penso io, con Christian sarebbe una cosa davvero fuori dall’ordinario.
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