Grazia.it talks with: Giovanni Gerosa

Ci sono brand che ti trasportano in un viaggio fatto di parole, sensazioni ed emozioni, che richiamano alla mente, in maniera istantanea, paesaggi e percezioni quasi "fisiche", come il calore del sole sul viso al tramonto o la freschezza salmastra che arriva dal mare.
Uno di questi è sicuramente GIO, marchio fondato da Giovanni Gerosa, espressione creativa nata appena 5 anni fa con un'identità profondamente riconoscibile e un concept originale. Un modo di fare moda, il suo, che attinge a un immaginario che arriva dalla sua infanzia e che prende vita in abiti sognanti e avvolgenti, capaci di diventare magici "amuleti" contro le brutture del mondo.
Al centro la maglieria, tra le prime categorie al quale Gerosa si è accostato agli inizi della sua "avventura", declinata con uno spirito giocoso e colorato, per niente minimalista, ma allo stesso tempo con un approccio onirico, quasi intimista.
E poi una visione produttiva realmente improntata alla "sostenibilità": se a dominare la moda sono parole come "stagioni", "collaborazioni", "drop", con GIO il racconto si esprime in capitoli, collezioni "transeasonal" presentate annualmente e con una produzione su richiesta, realizzata artigianalmente in Italia, priva di sprechi e costi inutili e che permette di controllare la filiera e i dettagli con rigore e attenzione, dando spazio a materiali e lavorazioni d'eccellenza.
Lo scorso settembre, durante la Milano Fashion Week, Giovanni ha presentato il suo CHAPTER VII, una collezione composta da capi che uniscono strutture decise e tagli netti a forme fluide e destrutturate. I tessuti spaziano dal cotone alla seta lucida, dalla lana ai materiali leggeri, creando un equilibrio tra texture grezze e superfici morbide e riflettenti. La palette spazia tra toni naturali e profondi e tocchi di colore accesi e decisi, come in un tramonto sul mare.
CHAPTER VII si distingue dagli altri capitoli per l'utilizzo di parole e simboli che diventano protagonisti visivi e concettuali della collezione, veri strumenti narrativi - e sono solo decorativi - attraverso i quali prende vita e forma un MANIFESTO di storie intime e condivise.
Abbiamo colto l'occasione per parlare con Gerosa e farci condurre da lui e le sue parole nel mondo di GIO. Ecco quello che ci ha raccontato...
(Il designer Giovanni Gerosa - ph Simone Casconi)
Partiamo dall'inizio: com’è nato il progetto GIO - Giovanni Gerosa?
«GIO è nato in modo molto naturale, nel 2020. Durante la pandemia mi sono ritrovato, come tutti, chiuso in casa e ho deciso di usare quel tempo come un’occasione per liberare la mia creatività. Arrivavo da anni intensi sia di lavoro che studio, esperienze molto formative ma anche faticose, che lasciavano poco spazio all’espressione personale. In quel periodo ho finalmente avuto il tempo per sperimentare tutto ciò che avevo maturato nella mente negli anni precedenti: immagini, idee, parole, suggestioni che aspettavano solo di prendere forma. GIO nasce così, da un gesto semplice: un paio di ciabatte dipinte a mano. Una mia amica le aveva viste in foto e mi ha chiesto se potessi realizzarne un paio simili. Dopo averle create, le ho pubblicate su Instagram e, in poco tempo, molte persone hanno iniziato a chiedermene altre.
Poi sono arrivati i primi esperimenti con le bandane di cotone ricamate, che hanno avuto un riscontro inaspettato. Con il piccolo guadagno messo da parte ho deciso di sviluppare un’idea che avevo da tempo: ricreare la bandana classica, ma in maglia jacquard, con ricami e frange applicate a mano. Un maglificio di amici di famiglia mi ha aiutato a produrre i primi pezzi e da lì tutto è cresciuto in modo spontaneo. Mi sono trasferito a Milano, nel mio primo piccolo loft, dove lavoravo giorno e notte. Nel 2021 GIO è diventato qualcosa di più concreto, con una mini collezione di scialli bandana e pochi altri articoli che ho presentato ad alcune boutique. Le reazioni sono state incredibili, e così il progetto ha cominciato a prendere forma come una piccola realtà, sempre fedele ai valori con cui era nato. È cresciuto in modo organico, autofinanziandosi, passo dopo passo, e cercando ogni giorno di mantenere la stessa cura e autenticità delle origini».
La tua formazione nasce a Milano, ma affonda le radici in un’infanzia piena di stimoli artistici. Quali immagini, luoghi o persone senti abbiano davvero influenzato la tua visione?
«La mia formazione professionale è nata a Milano, ma le mie radici affondano in un’infanzia trascorsa tra Lecco e la Brianza, un luogo per me ricco di stimoli artistici. Mia madre aveva un negozio di abbigliamento e da bambino passavo i pomeriggi tra vestiti, stoffe e clienti. Mi affascinava tutto: i tessuti, i colori, le donne che si provavano gli abiti. Mi sembrava di vivere dentro un sogno. A casa, la mia estetica si formava anche attraverso mia nonna, una donna con un gusto incredibile. La sua casa era piena di quadri, libri, tappezzerie, mobili e colori che convivevano in modo perfetto nel loro disordine. Non l’ho mai vista senza un foulard di seta al collo. Il suo amore per il bello era qualcosa che ti restava addosso. Mia madre ha portato avanti quella sensibilità, rendendola più contemporanea, e insieme hanno costruito le basi del mio gusto e della mia visione. Un altro elemento fondamentale sono stati i luoghi. Ho trascorso tutte le estati della mia infanzia in Sardegna, e ancora oggi considero quell’isola come una delle mie più grandi fonti di felicità. I suoi colori, la luce, gli odori e il mare sono sempre presenti nelle mie collezioni. Ogni paesaggio che amo è fatto di mare e sole».
Il tuo lavoro parla di artigianato, emozione e autenticità. Come riesci a mantenere questa dimensione intima e sincera pur muovendoti in un sistema, quello della moda, spesso dominato dalla velocità e dall’immagine?
«Il mondo della moda è molto veloce, ma per me è sempre stato importante mantenere una dimensione intima e sincera. Cerco di farlo rispettando il mio tempo e quello delle persone che lavorano con me. Fin dall’inizio ho capito di avere due possibilità: accelerare e produrre subito, oppure crescere con calma, mantenendo ritmi e quantità sostenibili. Ho scelto la seconda. Tutti i capi GIO sono realizzati a mano in Italia. Questo significa tempi lunghi, costi alti, ma anche la certezza di un processo autentico. Non voglio snaturare il progetto per inseguire i numeri. Credo che oggi il vero valore sia creare prodotti che abbiano identità, una logica produttiva chiara e trasparente. La velocità deve stimolare, non divorare. Io preferisco raccontare una storia che segua la mia velocità, non quella del mercato».
Il tuo brand si presenta attraverso vari capitoli, se GIO Giovanni Gerosa fosse un libro quale sarebbe?
«Per me GIO è proprio come un libro. Ogni collezione è un capitolo che prosegue la storia precedente: cambia l’atmosfera, cambiano i protagonisti e i colori, ma il filo conduttore resta lo stesso. Ogni capitolo aggiunge qualcosa, non cancella mai quello che è venuto prima. Se dovessi associare GIO a un libro, direi L’Alchimista di Paulo Coelho. Mi ritrovo nella sua metafora del viaggio, della trasformazione, del cercare la propria leggenda personale. È esattamente quello che cerco di raccontare con ogni collezione».
Guardando avanti: che forma pensi prenderanno i prossimi “capitoli” di GIO?
«Mi piace pensare ai prossimi capitoli di GIO come a un’evoluzione naturale di tutto ciò che ho costruito finora. Amo cambiare, sperimentare, lasciarmi ispirare da quello che succede dentro e intorno a me. Spero che i prossimi capitoli siano sempre più solidi, che continuino a crescere con la stessa autenticità e la stessa cura. Per me GIO è un viaggio continuo, senza partenza né arrivo, dove la materia si trasforma in emozione e il tempo diventa poesia».
Le parole che attraversano la collezione e il tuo MANIFESTO - amore, memoria, sogno, protezione - sembrano piccoli mantra contemporanei. Qual è quello che domina la tua vita professionale e quale la tua vita privata?
Le parole che attraversano il mio manifesto – amore, memoria, sogno, protezione – li porto sempre con me. Il mio lavoro nasce dal sogno, da una dimensione “sognante” che mi accompagna in tutto ciò che faccio. Nella mia vita privata invece c’è tanta memoria e tanto amore. Amo circondarmi di persone che credono in me come amico, designer e artista. L’amore lo vivo in maniera collettiva, fatto di relazioni sincere, di fiducia e di sostegno reciproco. È quello che mi fa sentire protetto e che nutre ogni mia creazione.
Quando pensi al tuo brand e al tuo mondo, c’è una canzone o una musica che sarebbe perfetta come soundtrack?
«Anche la musica ha un ruolo importante nel mio lavoro. In studio ho sempre una playlist che aggiorno continuamente con brani che mi risuonano dentro. Friday Sky dei Babeheaven mi trasporta in una dimensione sospesa, malinconica e sognante, che sento molto vicina a me. Quando invece ho bisogno di energia e good vibes, ascolto Jungle Trot delle Nomads, due amiche dj che stimo molto e che per me rappresentano perfettamente lo spirito delle donne GIO: libere, forti, piene di vita».
Foto di GAIA BONANOMI - Collage d'apertura SIMONA ROTTONDI
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