Perché l'esperienza di Alessandro Michele da Gucci ha cambiato il brand fiorentino (e anche la moda di oggi)
«Ci sono momenti in cui le strade si separano in ragione delle differenti prospettive che ciascuno di noi può avere». Inizia così il lungo post di commiato pubblicato da Alessandro Michele su Instagram, dopo l’ufficializzazione della sua uscita di scena da Gucci.
Una notizia davvero inaspettata che sta continuando a far discutere gli addetti ai lavori e i fan del marchio fiorentino. Se da un lato ci si interroga su chi potrebbe sostituire lo stilista al timone della maison, dall’altro non si può fare a meno di pensare a come, in quasi otto anni di direzione creativa, Michele sia riuscito a cambiare il corso del brand e in un certo senso anche quello del fashion system.
Quando nel 2015 è subentrato a Frida Giannini, la moda parlava di «qualcosa che non esisteva più - per dirla con le parole da lui stesso usate in un’intervista rilasciata al New York Times - un mondo posh, chiuso, esclusivo, fatto di belle gambe e bei capelli. Io invece volevo parlare di umanità e stavo cercando una nuova energia per la strada, fuori dai confini del lusso».
La visione di Michele è stata ben chiara sin dalla prima sfilata. La collezione Gucci Uomo Autunno Inverno 2015, realizzata a tempo di record, presentava già molti degli elementi di quell’estetica massimalista, surreale e inclusiva che, stagione dopo stagione, ha portato il marchio all’apice del successo, finanziario e non.
Le camicette infiocchettate, i motivi floreali, i tailleur di velluto anni ‘70, i gioielli-amuleto e le cascate di accessori con la celebre doppia G, sono stati gli “strumenti” utilizzati da Michele in questi anni per perseguire la sua mission a favore della libertà d’espressione e di genere.
«Il termine gender-fluid non era nemmeno nella mia testa, quando ho iniziato il mio percorso da Gucci - ha rivelato in un’altra intervista - Non ho inventato un capo o un accessorio, però è successo qualcosa. Ecco, forse mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto».
Nel corso della sua carriera ha spiegato di aver considerato Gucci come una piattaforma volta a espandere voci e veicolare idee. I suoi grandiosi show - vera e propria estensione fisica della sua visione creativa - sono stati terreno di riflessione sugli argomenti più disparati: dal cinema hollywoodiano agli stereotipi legati al concetto di famiglia (oggetto dell’ultima sfilata Gucci Twinsburg, che ha visto protagoniste 68 coppie di gemelli e gemelle) fino alla delicata tematica della psiche, focus di numerose passerelle.
Ma lo stilista è stato anche tra i primi a sperimentare nuovi format. Per l’Autunno Inverno 2021, ad esempio, ha portato il backstage “on stage”, mostrando al pubblico ciò che solitamente avviene dietro le quinte: sulla catwalk hanno trovato posto sarte, vestiariste e collaboratori intenti a vestire “in diretta” le modelle.
Durante il lockdown invece ha svelato attraverso un live streaming di 12 ore l’intero processo con il quale viene realizzata una una campagna moda, dagli atti preparatori dello shooting al trucco, fino all'allestimento del set.
Senza contare le iniziative "collaterali", come il lancio di Vault: store online dov'è possibile acquistare pezzi Gucci second-hand o provenienti da archivi, ma anche le creazioni di talenti emergenti da tutto il mondo. «Il vintage è sempre stato un mondo underground, invece penso che sia interessante che diventi mainstream - ha spiegato lo scorso settembre durante la fashion week milanese - Un progetto così non nasce per essere profittevole, ma per connettere».
Indubbiamente degno di nota anche il lavoro fatto dallo stilista fuori dalle passerelle. Michele ha vestito e collaborato con alcuni dei volti più amati dello star system, come Jared Leto - con il quale si è divertito a sperimentare look coordinati in diverse occasioni, sfruttando la somiglianza con l’attore e intimo amico - Lana Del Rey, i Maneskin e Harry Styles (co-creatore della capsule Gucci HA HA HA), amplificando la visibilità del brand e dei suoi valori.
A lui però va anche il merito di aver portato a un livello superiore il concetto di co-lab: basta guardare l’«esperimento di hackeraggio» del 2021 fatto con Balenciaga per rendersene conto. In quell’occasione lo stilista ha “contaminato” con successo il DNA di Gucci attraverso inedite incursioni nell’universo di Demna Gvasalia. E che dire delle creazioni in bilico tra sartorialità e sportswear della recente collezione adidas x Gucci?
«La strada che Gucci e Alessandro hanno percorso insieme è unica e rimarrà un momento eccezionale» ha dichiarato François-Henri Pinault, il numero uno di Kering - gruppo francese del lusso che detiene la proprietà del brand.
Certo è che chi avrà l’onore (e l’onere) di sostituire Michele dovrà confrontarsi con un’eredità decisamente ingombrante. Non resta dunque che aspettare.
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