Bottega Veneta e Saint Laurent: i due lati delle sfilate post-pandemia che raccontano una moda diversa
Mancano pochi giorni alla fine di questo tribolato 2020. Da nove mesi viviamo in un mondo diverso da quello a cui eravamo abituati. Ma anche se la vita di questi tempi non sembra essere minimamente prevedibile, siamo riusciti a trovare un equilibrio all’interno del nostro piccolo caos.
E anche la moda, a modo suo, ha cercato nuovi linguaggi e nuove modalità di comunicazione, a cavallo tra presenza fisica e digitale, showroom interattivi, avatar e drop speciali.
Se alcuni brand hanno deciso di rimanere fedeli ai ritmi dettati dai calendari, altri hanno colta la palla al balzo per sganciarsene e cambiare pelle o almeno presentare una lettura inedita e messaggi nuovi al proprio pubblico.
Come ha fatto Gucci che, solo un mese fa, ha presentato la collezione OUVERTURE of Something that Never Ended attraverso un fashion movie a episodi diretto dal Direttore Creativo Alessandro Michele e il regista cul Gus Van Sant.
Un viaggio onirico e a tratti surreali in cui gli abiti sono un po' il pretesto per una riflessione estetica su tempo, arte ed emozioni.
Ma il marchio italiano non è stato l'unico a staccarsi dal calendario ufficiale: Bottega Veneta e Saint Laurent hanno deciso di presentare le loro collezioni in un momento diverso, aprendo discorsi e parentesi antitetiche, a partire dal coinvolgimento (o meno) del pubblico. Guardiamoli nel dettaglio:
Bottega Veneta: l'esclusività della SS21
Per l’evento del 9 ottobre che si è svolto al teatro Sadler’s Wells a Londra, Daniel Lee, direttore creativo di Bottega Veneta, ha invitato solo una manciata di persone, quelle che racchiudono l’essenza della community di Bottega Veneta.
Questi fortunati "eletti" hanno avuto la possibilità di osservare i capi della collezione Salon 01, immersi in un ambiente minimale tra luci colorate che fungevano da unico allestimento e una passerella spoglia e completamente bianca, rendendo i vestiti veri protagonisti.
L’obbiettivo di Lee era quello di evocare un senso di domesticità e nostalgia per la libertà.
Per farlo ha creato abiti dai materiali morbidi e fluidi come lana, lino, perline e frammenti di conchiglie e li ha abbinati con scarpe comode come sneakers ma anche zeppe platform.
I materiali e i disegni riportano a vibes anni 60 che ci fanno tornare la voglia di uscire sotto il sole per bere un caffè in un vestito di maglia verde lime con una borsa abbinata squadrata sottobraccio. Oppure concederci una passeggiata in riva al mare dopo cena, indossando un vestito con minigonna rosa cipria, zeppe e borsa coordinate e una giacca in maglia beige per ripararsi dalla brezza di fine primavera.
Sebbene il numero degli invitati fosse ristretto, Bottega Veneta ha comunque voluto provare a dare un senso di comunità tra le persone più vicine al brand che non potevano partecipare alla sfilata.
Per fare ciò la casa di moda ha fatto recapitare tre libri e un disco (tutto in edizione limitata) alla loro porta. Il primo libro offre uno sguardo sul processo creativo e le fonti d’ispirazione di Daniel Lee per Salon 01, il secondo, con la collaborazione dell’artista concettuale tedesca Rosemarie Trockel, affronta la creatività e il rapporto che abbiamo con l’abbigliamento, e il terzo è una raccolta di foto scattate da Tyrone Lebon dedicate al palco e al backstage.
Il disco invece è la colonna sonora di Salon 01, realizzata dalla mitica Neneh Cherry.
L’idea di Daniel Lee era tornare, anche solo momentaneamente, a un mondo pre-pandemia oppure pensare a una nuova realtà più inclusiva, che dia spazio creativo e politico alle comunità finora marginalizzate?
Difficile dare una risposta sola... ma dobbiamo ammettere che il tutto è stato eseguito così bene che la fascinazione della moda ci ha attirato verso di sé.
Saint Laurent: la sfilata SS21 nel deserto
L'altro marchio che ha stupito un po' tutti è stato Saint Laurent la cui collezione I Wish You Were Here è stata presentata in una location incredibile: il deserto e le dune del Sahara, un’omaggio al fondatore della casa di moda, Yves Saint Laurent, che aveva origini algerine.
Questa location ha avuto lo stesso effetto della tela bianca di Bottega Veneta, ovvero dare risalto assoluto ai vestiti. Ma le due sfilate differiscono soprattutto per un dettaglio, il pubblico, che da Saint Laurent è inesistente.
L’assenza del pubblico aiuta ancora di più a far sì che i vestiti siano il focus unico della sfilata e rende l’atmosfera che Anthony Vaccarello voleva trasmettere molto più tangibile.
Quindi ci immedesimiamo nelle modelle che camminano sul ciglio delle dune con tacchi a tallone scoperto. Passo dopo passo, look dopo look, sembra che loro siano le padrone del deserto e che lo proteggano come se fossero delle ninfe del deserto.
Dietro e sopra di loro un cielo dai colori tenui, mentre camminano determinate indossando lingerie con pizzo, collant semi-trasparenti oppure pantaloni oversized, tutine sgambate con stampe colorate e orlate di piume, giacche corte e biker shorts. Gli anni 60 e gli anni 90 s’incontrano a metà strada dando vita alla nuova estetica rock’n’roll di Saint Laurent voluta da Vaccarello.
I vestiti in jersey sono una novità per Vaccarello che a febbraio 2020 presentò una collezione in cui il latex era il materiale protagonista. Questo ritorno a un'estetica anni 60 è una sintesi tra riflessione sul tempo attuale (il lockdown e l'homewear hanno portato alla ribalta tessuti morbidi e confortevoli, come il, jersey appunto) e un tuffo negli archivi della casa di moda.
Yves Saint Laurent, infatti, utilizzo il jersey nel 1968 per creare capi facili da indossare; un anno, che come sappiamo, è stato pieno di cambiamenti sociali e politici, uno spartiacque importante e decisivo tra decenni.
Un po' come, volenti o nolenti, ricorderemo questo complicato 2020.
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