Il 10 gennaio si è spento uno dei personaggi più camaleontici e istrionici che la musica pop abbia mai conosciuto. Lo ricordiamo attraverso il suo impatto sulla moda e sul costume
La notizia della morte di David Bowie ha colpito tutti inaspettatamente, a soli pochi giorni dagli omaggi e gli articoli per l'uscita del 25esimo album, Blackstar, e il compimento dei suoi 69 anni, lo scorso 8 gennaio.
Instagram e tutti gli altri social, infatti, erano già pieni di bellissime foto presenti e passate di Ziggy Stardust, Aladdin Sane, The Thin White Duke e qualsiasi altro personaggio Bowie avesse interpretato nella sua lunghissima carriera.
Quando quella notizia è arrivata, in molti avevano già postato il loro David preferito, a posterori una dimostrazione estrema di come il ragazzo di Brixton, classe 1947, fosse sempre in grado di produrre un impatto fortissimo con il suo lavoro e la sua presenza scenica.
[in foto, David Bowie con Hermione Farthingale, Londra, 1968. Credits: Olycom]
Come hanno notato in molti, quando si spegne un personaggio così, che ha influenzato la cultura pop per più di quarant'anni e ha forgiato i gusti e le tendenze di milioni di persone, dai semplici fan a coloro che per lui hanno scelto di dedicarsi a un'arte (e non sono stati pochi i musicisti a ringraziarlo per essere stato una continua fonte di ispirazione), è quasi difficile congedarsi da lui e da tutto ciò che rappresenta per ognuno di noi, e l'onda emozionale dei social di questi giorni lo dimostra.
Bowie ci ha lasciato un testamento bellissimo che è Blackstar, il suo ultimo album che tutti dovremmo ascoltare, dove affronta i temi della morte e della malattia. Ci ha lasciato allo stesso tempo la sua fascinazione incontrollabile per lo spazio infinito, quella spinta quasi ossessiva alla ricerca del nuovo e dello sconosciuto, la voracità intellettuale attraverso la quale negli anni si è appropriato di generi e stili musicali tra loro opposti, come un vero camaleonte.
[in foto, David Bowie, Aladdin Sane Tour, 1973, Ph. by Masayoshi Sukita, David Bowie Archive]
La sua carriera è inziata prestissimo, con il successo di Space Oddity nel 1969, dopo alcuni anni passati fra diverse band, capigliature e sperimentazioni fra le più disparate, dimostrazione di una continua ricerca. Le sue maschere, dicevamo, sono state moltissime: dal glam esagerato di Ziggy Stardust (The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars è del 1972), umano emissario degli alieni diventato ben presto il rappresentante ideale del nascente movimento omosessuale britannico, passando per il pirata spaziale Halloween Jack (Diamonds Dogs, 1974) fino al sottile Duca Bianco (che esordisce con Station to Station, nel 1976) e i successivi anni berlinesi, dove le ideologie confuse (e controverse) si sposarono con alcune delle sue produzioni migliori e un look rinnovato nel suo minimalismo.
[in foto David Bowie a metà degli anni '70. Credits: Olycom]
Da più parti si ricorda la sua incredibile capacità di manipolare l'immagine di se stesso, in un fluire continuo di alter ego progettati nel tentativo instancabile di costruire e ricostruire la forma di un personaggio che potesse sempre rispecchiare lo zeitgeist contemporaneo.
E per ricostruirsi, Bowie ha utilizzato tutti i trucchi a sua disposizione, come un vero prestigiatore: dai trucchi veri e propri (il favoloso make-up di Aladdin Sane, ad esempio, era opera di Pierre La Roche) agli abiti, passando agilmente dalle tute aderenti e gli zatteroni alla divisa del Duca Bianco, che ancora oggi influenza le passerelle.
Il colore dei capelli e le acconciature, i tacchi, lo sguardo felino, l'esplorazione del genere, l'impostazione teatrale, le collaborazioni d'autore, le interpretazioni cinematografiche: il lascito artistico di David Robert Jones è multiforme, contraddittorio e selvaggio. Non ci resta che non dimenticarlo mai.
David Bowie: the music & style icon
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