London Fashion Week: come sono andate le sfilate


Le sfilate di Londra organizzate dal British Fashion Council per la prima stagione guidato da Laura Weir si sono concluse registrando un incremento del 18% dei nomi in calendario e una maggiore affluenza grazie anche a una nuova politica di sostegno che ha portato nella capitale inglese stampa internazionale e creator da tutto il mondo.
L’entusiasmo di Weir e della nuova amministrazione è palpabile: nuovi nomi e brand riconosciuti si alternano in un calendario denso di eventi e celebrazioni tra cui spiccano i 20 anni di Erdem e Roksanda e i 15 di David Koma, festeggiati con un cocktail e una cena intima al ristorante Nessa. Ma è il focus sui giovani designer ad essere centrale perché Londra ha creato il suo successo di piazza frizzante e di rottura proprio grazie a loro e anche perché, dopo le difficoltà incontrate da tanti marchi a causa della pandemia e della Brexit, la città ha disperatamente bisogno di trovare nuovi stimoli e spunti per poter tornare a essere rilevante nel panorama globale.

La sfilata di Dilara Findikoglu per la primavera-estate 2026
È quello che sta succedendo con Dilara Fingikoglu, la designer di origini turco-inglesi che è diventata in breve tempo l’appuntamento più atteso della London Fashion Week. Una fila lunghissima di suoi adepti (riconoscibili dal dress code total black, corsetti, sopracciglia decolorate e attitude goth-decadente) ha aspettato più di un’ora prima di essere rimbalzata all’entrata della venue della sfilata, un palazzo dalle sale tetre dove i più fortunati hanno guadagnato una sedia nei corridoi o davanti a enormi vetrate. Ed è qui che è andata in scena la pièce della designer con modelle avvolte da minidress stringati, creature della notte con foglie e rami nei capelli e damigelle inquietanti con gli occhi coperti da decori in metallo (incollati al volto) che si muovevano con passi incerti sulla passerella improvvisata. L’immaginario che fonde la parte più fantasy di McQueen e Galliano è chiaro e le ispirazioni nette, ma il merito di Dilara (come la chiamano tutti) è proprio nel saper gestire dei codici conosciuti e creare qualcosa di nuovo che risuona con lo spirito e le necessità di tanti e riuscire a fondare una community che si riconosce nel suo sguardo.
Una caratteristica fondamentale per il successo di un marchio ora, lo stesso obiettivo di Aaron Esh, il designer inglese che parla di uno stile che unisca tra loro i giovani di oggi, “the kids” come li definisce lui, e che li porti ad acquistare un pezzo della sua collezione da tenere e indossare per sempre e che sia altamente decifrabile.

La sfilata di Chopova Lowena per la primavera-estate 2026
Scendendo ancora più profondamente nella scena punk troviamo Chopova Lowena, brand delle designer Emma Chopova e Laura Lowena con sede a Londra ma con forti influssi della cultura e tradizione bulgara, che hanno fatto fortuna con le loro gonne patchwork di kilt e spille da balia e stanno portando all’ennesima potenza la ricerca sugli esclusi, i ragazzi considerati “strani”, tanto da dedicare l’ultima sfilata a chi non veniva mai scelto a scuola per i giochi sportivi (lo show si è tenuto in una palestra dalle alte vetrate, un mix di gotico e moderno straniante).

Simone Rocha primavera-estate 2026
Ultima di questo gruppo, ma di sicuro la più conosciuta nell’universo moda, è Simone Rocha, che da anni lavora sulla creazione di una silhouette diversa sia nelle sue collezioni maschili che femminili, giocando con trasparenze, layering, fiocchi e crinoline e che ha un culto di appassionati e appassionate che ricercano e collezionano i suoi capi e accessori (uno tra tutti la Pearl Bag). Questa volta, lei maestra del massimalismo etereo, è andata invece di sottrazione, con top a fascia strapless, inserti in pvc e tanta pelle mostrata rispetto al solito. Ma non manca il suo tocco sognante, rappresentato letteralmente da cuscini portati a mano o inseriti nei look come veri accessori o decorazioni.

La sfilata di Lueder per la primavera-estate 2026
Nel fitto calendario londinese non mancano poi i designer del programma New Gen, sostenuto da anni dal British Fashion Council, che quest’anno è tornato con diversi nomi che spiccano per la qualità della ricerca e la maturità - pur essendo per l’appunto “nuova generazione”. Molto interessante ad esempio la scelta di Johanna Parv di interpretare il mondo dello sportswear in modo estremamente chic e allo stesso tempo pratico e fashion. I tessuti tecnici sono leggeri decorati da piccole zip e resi unici dallo styling degli accessori che alternano borse coperte o incastrate negli abiti a marsupi utility e ancora portaoggetti geniali anche se poco pratici (uno su tutti lo zainetto porta borracce), ma che eseguono alla perfezione il compito di sorprendere e colpire chi guarda. E sempre lo sportswear, ma decisamente più virato verso lo streetstyle, è il campo in cui opera Lueder, brand che per questa stagione unisce il clubbing berlinese con dei richiami al mondo medievale il tutto condito da una collaborazione con Puma sulle sneakers basse o a stivaletto che si alternano a scarpe da giullare.

La sfilata di Erdem per la primavera-estate 2026
Ma Londra è anche abiti da cocktail e da cerimonia e nessuno riesce a interpretarli meglio di Erdem che ha scelto il British Museum per raccontare la femminilità tramite la storia di Hèlène Smith, sensitiva vissuta nel diciannovesimo secolo. Ancora una volta il designer fa della ricerca storica e dello storytelling il suo punto di partenza e focus primario. I modelli che fa sfilare strizzano l’occhio a una moderna Maria Antonietta, che, con l’apertura della mostra al V&A Museum sponsorizzata da Manolo Blahnik, si candida ufficialmente a trend per la prossima stagione. Anche Richard Quinn ha ormai lasciato da parte provocazioni, maschere, latex e riferimenti all’universo S&M, per dedicarsi completamente alla sera, risultando però molto meno fresco nella sua esecuzione e lasciando i presenti con una certa nostalgia delle collezioni passate.

La sfilata di Richard Quinn per la primavera-estate 2026
La sensazione che ci sia maggior movimento e interesse intorno alla piazza londinese e che qualcosa si stia effettivamente muovendo è forte (lo stesso successo economico e di immagine di Burberry è un forte segnale dello shift), come è chiaro lo sforzo da parte del British Fashion Council di volersi riprendere da un periodo difficile. Ci vorranno diverse stagioni per trovare altri show come quello di Dilara Findikoglu, che spingano le persone a prestare attenzione e muovere l’economia, o ancora spingere i brand di lusso delle grandi case a trasferirsi anche solo per una stagione a Londra per potersi accompagnare a nomi come quello di Burberry. Il cambio di rotta non avverrà senza investimenti e fatica, ma i semi per una rinascita ci sono e la voglia di aggregazione che solo la moda può dare anche. Aspettiamo fiduciosi.
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