Non riesco a capacitarmi di quelle risposte alla richiesta di un posto di terapia intensiva per una neonata con crisi respiratoria: «Tutto occupato, chiedete ad altri».

Non riesco a capacitarmi di quelle risposte alla richiesta di un posto di terapia intensiva per una neonata con crisi respiratoria: «Tutto occupato, chiedete ad altri». Non riesco neppure a capire come si siano potuti ammettere quei rifiuti. Nella mia testa per salvare una bambina si accettano ricoveri in eccesso, si sfondano le porte dei reparti. Eppure nella notte tra l’11 e il 12 febbraio quattro ospedali di Catania e uno di Siracusa hanno risposto che non c’era posto per la piccola Nicole Di Pietro. E allora l’hanno caricata sull’ ambulanza per andare a Ragusa, l’unica struttura con disponibilità, a 118 chilometri di strada complicata.
Senza contattare il policlinico della più vicina Messina, dove il posto ci sarebbe stato, perché fuori dal distretto sanitario. Alle 3.47 l’ultima telefonata gela il sangue: «Siamo alle porte di Ragusa, la bambina è deceduta». Cinque medici, due persone del 118 e altre due delle unità di terapia intensiva neonatale sono indagati per questa tragedia che dimostra lo stato della sanità siciliana e ci mette di fronte alla triste evidenza che in Italia i neonati continuano a morire per carenze del sistema sanitario. Al nord il 2,5 per mille dei neonati muore tra il primo e il 28esimo giorno di vita. Al centro la percentuale sale al 2,9 per arrivare al 4,3 per mille al sud.
Un’indagine parlamentare ha riscontrato l’impreparazione di reparti per la maternità in Campania, Calabria, Puglia, Sicilia. Eppure i centri considerati sotto gli standard necessari continuano a lavorare. Vogliamo fare qualcosa?
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