Quando sono nata, mio nonno mi ha sollevato tra le braccia dicendo: «Questa bambina sarà dottore».
Quando sono nata, mio nonno mi ha sollevato tra le braccia dicendo: «Questa bambina sarà dottore».
A me è sempre piaciuto enormemente studiare. Lo facevo con passione vorace, stando sveglia fino a notte inoltrata.
Mi chiudevo in casa per mesi prima degli esami, tanto da non accorgermi che era arrivata l’estate.
Le mie compagne avevano tolto le calze, mentre io le indossavo ancora dentro la «camerina», la stanza che in casa nostra era adibita allo studio.
La storia di Malala Yousafzai, la sedicenne pachistana colpita in pieno volto dai talebani che volevano ucciderla perché desiderava studiare, è straordinaria. Sopravvivendo all’esecuzione, facendo sentire la sua voce, impegnandosi per il diritto all’istruzione, è diventata il simbolo dei milioni di giovani donne a cui è negato andare a scuola.
Non attribuendole il Nobel per la Pace, si è persa l’occasione di dire a tutte le ragazze umiliate, oscurate, massacrate da fanatici integralisti: «Voi valete e noi siamo con voi».
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