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Cravatte, scollature, tacchi e… principi azzurri

Cravatte, scollature, tacchi e... principi azzurri

foto di Vera Montanari Vera Montanari — 16 Novembre 2012

Indosso la stessa giacca da tre giorni. Cambio pantaloni, maglia, scarpe, ma quando la mattina devo decidere cosa mettere “sopra”, per ben tre volte, dopo averne provate altre, sono tornata alla stessa giacca. Perché è quella che in questo momento mi rappresenta meglio: è nera (ovviamente), perfetta per ogni incontro di lavoro, ma senza collo e quindi un po’ meno seria, meno classica di quelle maschili.

Guardavo in televisione il famoso incontro, un po’ stile X Factor, tra i cinque sfidanti del centro sinistra e, deviazione professionale, la prima cosa che ho notato è stata la cravattona viola di Matteo Renzi. D’accordo, è il colore di Firenze, però, non c’è dubbio, segnalava anche la sua voglia di dichiararsi diverso, nuovo, meno tradizionale degli altri che infatti indossavano anonime cravatte blu, Tabacci e Vendola, che magari avrebbe potuto osare di più, mentre Bersani ne aveva scelta una rossa d’ordinanza (un po’ nostalgica?).

Per chi non lo sapesse nel linguaggio degli abiti la cravatta sta agli uomini come le scarpe alle donne: entrambi sono gli accessori principali con cui giocare per dichiarare al mondo chi siamo o almeno chi ci piacerebbe essere. Avrei pagato per vedere meglio le scarpe di Laura Puppato, l’unica donna tra gli sfidanti, ma le inquadrature televisive non contemplavano, e lo capisco, i piedi. Però ho visto dalle foto che erano delle ballerine, comode, carine, in linea con una signora seria e perbene che vuole avvalorare la propria immagine di affidabile. Io invece non ho dubbi e scelgo sempre, quando devo essere perfettamente in ruolo, il tacco alto. Prima di tutto perché si guadagna in centimetri: è più faticoso esprimere autorevolezza guardando il tuo interlocutore dal basso in alto... E poi perché la femminilità mi sembra un atout a cui, di questi tempi, le donne non solo non devono rinunciare, ma anzi devono valorizzare. Senza esagerare, ovviamente.

Per esempio, sono contrarissima alla scollatura con anche solo un vago accenno di seno in tutti i contesti seri, professionali. Di mio ripenserei al look di molte giornaliste che presentano i telegiornali vestite come per un party, e ovviamente non per moralismo, ma perché lì, tra inondazioni ed esodati, anche il minimo accenno di sessualità mi sembra un errore, una distrazione di cattivo gusto. Recentemente ho scritto su Facebook un post in cui dichiaravo la mia volontà di smetterla di vestirmi solo di nero, per contrastare con un po’ di colore il grigio del cielo milanese e della situazione economica del Paese.
Non ce l’ho ancora fatta, ma una volta ho osato un collant arancione e un’altra un cappotto rosso... Non posso pretendere troppo da me, anche da bambina odiavo il rosa. Invece un giudice della Corte suprema americana, Sonia Sotomayor, vestita con la tradizionale toga (l’abito fa il monaco, eccome), ha partecipato a una trasmissione tv per spiegare a delle bambine rosadipendenti e con coroncine in testa che la principessa... non è una carriera. Per avere una buona vita, non occorre un principe (peraltro scarseggiano), ma un buon lavoro, che vuol dire studiare, impegnarsi. E spesso, almeno qui in Italia, non basta neanche...

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