«Se poi torniamo a casa ed è tutto come prima»: l'editoriale di Silvia Grilli
Contro chi abbiamo manifestato il 25 novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza maschile sulle donne? Contro la politica? Contro le istituzioni maschiliste? Contro la polizia che non ci tutela? Contro le leggi che non sono abbastanza dure? In generale contro il sistema che risponde al nome di “patriarcato”?
No, la verità è che abbiamo manifestato contro i nostri padri, i nostri fratelli, i nostri mariti, nonni, fidanzati, parenti, colleghi, datori di lavoro, vicini di casa, amici, conoscenti. Perché prima dell’ultimo
«bravo ragazzo» che ha ucciso l’ennesima donna, prima di ogni poliziotto che non è intervenuto, di ogni braccialetto elettronico e divieto di avvicinamento che non hanno funzionato, prima del più recente femminicida che è uscito dal carcere in anticipo, prima dell’ultimo stupro di gruppo o non di gruppo c’è la lavatrice che i mariti non hanno caricato.
Ci sono i compiti dei figli che i padri non hanno condiviso, i nostri video intimi che i maschi si sono scambiati, le battutacce sessiste tra colleghi, i palpeggiamenti in autobus, l’incapacità di accettare in ogni luogo di lavoro l’autorevolezza delle donne, l’assoluta mancanza di attenzione nei Consigli di amministrazione o in Parlamento e ovunque per quello che diciamo.
Dietro ognuna delle nostre relazioni si nasconde una storia antica di sopraffazione. «Non tutti gli uomini», diciamo sempre, «sono cattivi». Verissimo. Però sono uomini: detengono da sempre il potere. Non serve a niente scendere in piazza a manifestare, se poi torniamo a casa e siamo sempre noi a dover preparare la cena, sempre noi a buttare la spazzatura.
È inutile urlare slogan potentissimi se poi il lunedì al lavoro dobbiamo di nuovo confrontarci con uomini che deliberatamente ci ignorano. È da ogni casa, ogni scuola, ogni ufficio, ogni scranno alla Camera dei deputati che si deve fare la rivoluzione.
Siamo tutti, nessuno e nessuna esclusa, figlie e figli dello stesso patriarcato. Anche noi donne ne siamo intrise quando affondiamo le poche di noi che ce la fanno a emergere o quando sosteniamo che «sì, però, santa ragazza, come le è venuto in mente di uscire con quello...».
Eppure negli istanti migliori di questo 25 novembre, quando nel nome di Giulia Cecchettin e di tutte le altre vittime centinaia di migliaia di donne e uomini, bambine e bambini hanno riempito le piazze d’Italia, si è realizzata la rivoluzione. Quando tutte queste donne, questi uomini, queste bambine, questi bambini hanno camminato insieme con il rispetto che si deve avere tra pari, eppure diversi, si è realizzata la vera idea di libertà, che altro non è che uguali diritti per entrambi: femmine e maschi. Prima di arrivare al femminicido ci sono molti gradini di sopraffazione, ma in questo 25 novembre abbiamo conosciuto l’empatia, il mettersi nella pelle dell’altra che azzera ogni abuso.
E qualcosa deve essere davvero successo, qualcosa deve essere davvero cambiato, se nello stesso comune di Giulia quattro studentesse e studenti di 16 anni hanno cercato di fermare un uomo che picchiava la moglie per strada, annotato il numero di targa e chiamato i carabinieri. Qualcosa ci dice che la morte di quella ragazza non è stata vana e le parole di sua sorella Elena hanno aperto una strada. Noi la stiamo percorrendo. È necessario non tornare indietro. Ogni giorno deve mantenere la consapevolezza di questo 25 novembre. E ricominciare, molto prosaicamente, da una lavatrice.
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