«Se fai la schiava te la sei andata a cercare»: l'editoriale di Silvia Grilli
Che cosa vuol dire “cultura”? Perché questa parola è circondata da rispetto e anche impunità, come se fosse sempre qualcosa di buono, bello, intoccabile? Non è così. In tutto il mondo la cosiddetta “cultura” finora è il patrimonio delle idee del genere dominante, quello maschile, tramandato di generazione in generazione per conservare il proprio potere. E sto male ogni volta che questa parola avvolge come giustificazione la violenza sulle donne.
La notizia la sapete: un pubblico ministero della Procura di Brescia, Antonio Bassolino, ha chiesto l’assoluzione di un uomo originario del Bangladesh, accusato dall’ex moglie di maltrattamenti, violenze e stupro nel periodo in cui erano sposati. La sentenza è attesa in ottobre.
La donna, 27 anni, nata in Bangladesh e cresciuta in Italia, aveva trovato la forza di denunciarlo. «Sono stata trattata da schiava, picchiata, umiliata, costretta al totale annullamento con la costante minaccia di essere riportata definitivamente in Bangladesh» ha detto. Era stata forzata a sposare quell’uomo, un cugino, al quale era stata ceduta per 5.000 euro. Lui le imponeva di stare chiusa in casa e indossare abiti totalmente coprenti. Quando lei provava a opporsi, erano urla e insulti.
Ma nella richiesta di assoluzione, il magistrato ha scritto che la violenza dell’uomo è “il frutto di un impianto culturale, non della volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura”. Non è colpa sua, insomma, ma della sua tradizione. Il magistrato, inoltre, ha sostenuto che, sposandosi con quell’uomo, la giovane avesse all’inizio accettato questo tipo di “cultura” della quale “l’imputato si è fatto fieramente portatore”. Tradotto: la vittima se l’è cercata, perché ha accettato quell’insieme di norme sessuofobe spacciate per “cultura”, per cui una donna è oggetto di compravendita e asservimento. Non sono qui ad affermare la supremazia della nostra tradizione.
Anche la nostra, che cerchiamo faticosamente di cambiare, è piena di disparità sancite dagli uomini per mantenere un potere di uomini. Sono qui a scrivere che una “cultura” che tramanda le disparità tra maschi e femmine viola semplicemente i diritti umani.
Dimentichiamo che uno è un maschio e l’altra è una femmina. Può una persona vietare a un’altra di uscire, vestirsi come le pare, picchiarla, stuprarla? Scordiamoci che uno sia il marito e l’altro la moglie, parliamo di due persone. Il magistrato di Brescia si sarebbe posto il problema? Credo di no, per questo è importante stabilire che i diritti delle donne sono diritti umani, indipendentemente dal genere.
In Francia è nato un feroce dibattito quando il ministro dell’educazione ha proposto di vietare l’ingresso nelle scuole alle studentesse con il velo integrale. Da una parte si sono schierati i sostenitori dell’identità e appartenenza alle radici musulmane, dall’altra quelli dei valori francesi di laicità.
Molte studentesse rivendicano la libertà di indossarlo per esprimere la propria appartenenza a una “cultura”. E di nuovo ritorna quella parola che avvolge tutto di giusto, di buono e un po’ folcloristico. Ma che cosa c’è di giusto e di buono in una costrizione imposta alle donne per cancellarsi e nascondersi dagli sguardi degli uomini, come se questi ultimi fossero altrimenti incapaci di frenare i loro istinti sessuali? L’abaya non risponde a nessun dettame religioso: è solo l’annullamento del corpo femminile in una repressione delle donne che avviene prima in casa poi fuori.
Ritenere che la vittima di Brescia abbia accettato inizialmente l’annichilimento di sé è come credere o fare credere che sia tanto bello scomparire sotto un mantello integrale: una mistificazione della realtà con l’arma di quella cosiddetta “cultura” usata per ammantare le discriminazioni come edificanti. Ricordiamoci delle ribelli iraniane, di Mahsa Amini, la ragazza curda che un anno fa è morta per le torture inflitte dalla polizia della morale perché non portava correttamente il velo. I diritti delle donne sono diritti umani. Questa cosiddetta “cultura” è solo violenza tramandata.
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