Sara Gama: "Chiamatemi capitana"
Non ha mai giocato con le bambole, ma oggi c’è una Barbie ispirata a lei e persino un cartone animato. La storia di Sara Gama, la capitana della Nazionale femminile di calcio e della Juventus, ruota attorno al pallone da calcio.
È questo che racconta nel libro La mia vita dietro un pallone (DeAgostini) e nel film d’animazione che andrà in onda dal 19 aprile su Cartoon Network.
Il suo sogno è cambiare il mondo del calcio. Ora vive a Torino, ma è nata a Trieste 32 anni fa.
Dare l’esempio per Sara è naturale perché, dice, «quando ami quello che fai tutto è spontaneo e arriva alle persone». Per questo ha aderito alla campagna contro i pregiudizi #iosonodiverso di Cartoon Network.
«La diversità è un valore. Diversità e originalità sono ingredienti fondamentali per emergere e per rendere la propria vita una storia unica. Come è successo a me», dice Gama, che è anche vicepresidente del sindacato calciatori, AIC.
Capitana o capitano?
«Capitana! La prima cosa a cui bado è il rispetto con cui ti chiama la gente. Quando siamo entrati nel mondo Juventus e dei club professionisti maschili, tanti mi chiamavano al maschile. Serve tempo perché i cambiamenti vengano recepiti. È importante declinare al femminile, è questione di abitudine, perché poi le parole plasmano la realtà. Quindi, se posso scegliere, capitana».
Una società più giusta ha più donne al vertice. Lei, in questo senso, è un esempio per le bambine. Come affronta questa responsabilità?
«È un sogno recente. Da piccola volevo solo giocare a calcio, con i miei amici, non avevo in testa l’idea di diventare un modello. Non lo diventi se hai quello come obiettivo. Uno deve pensare a fare al meglio il proprio mestiere: se lo fai bene e dai l’esempio, allora diventi un riferimento. Con le mie compagne ci rendiamo conto che la risonanza mediatica ci impone maggiore responsabilità. Quando giocavo, da bambina, non potevo sognare di vestire la maglia della Juventus. Era inimmaginabile, perché non esistevano squadre femminili di professioniste. Ora le bambine invece lo possono sognare. Non siamo noi le pioniere del calcio, lo sono state altre donne prima di noi, ma rappresentiamo la svolta. Ogni generazione deve lasciare qualcosa. Facciamo la nostra parte».
Che cosa ha provato nel diventare un cartoon?
«Quando diventi un cartone animato capisci che puoi lasciare il segno. Come ho provato a fare con il mio libro. Sono azioni rivolte alle bambine e ai bambini: loro hanno la mente aperta. Gli adulti, se non fanno esperienze per accrescere le loro vedute, restano ingabbiati. Da piccoli, invece, tutto è possibile».
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Testo di Letizia Magnani
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