Un uomo antico dagli occhi azzurri, che sembra imprigionato in una sobrietà istituzionale, per niente aggressivo, anzi mite e un po’ malinconico, è il nostro nuovo presidente della Repubblica.
Un uomo antico dagli occhi azzurri, che sembra imprigionato in una sobrietà istituzionale, per niente aggressivo, anzi mite e un po’ malinconico, è il nostro nuovo presidente della Repubblica.
Non so quale empatia potrà crearsi tra Sergio Mattarella e gli italiani che lui chiama «concittadini». Lontano dalla capacità comunicativa di papa Francesco, mi ricorda il carattere appartato di Benedetto XVI. Però mi sono piaciuti molto due momenti nel corso del suo discorso del giuramento, altrimenti polveroso. Quando, tradito dall’emozione, ha perso i fogli e si è lasciato andare a un sorriso: è stato il dettaglio sbagliato che ha stemperato lo stile ineccepibile da preside di scuola e ha tradito un accenno di spontaneità. Ma soprattutto, mi ha incuriosito il passaggio del suo discorso contro il terrorismo islamico e i predicatori d’odio e l’omaggio inaspettato a Stefano Taché, il bambino di due anni rimasto vittima dell’attentato alla sinagoga di Roma nel 1982. Ecco, in quel momento, mentre il Parlamento non si alzava in piedi come aveva fatto prima a quasi ogni virgola perché probabilmente non ricordava chi fosse Taché, ho realizzato che forse questo presidente ci stupirà.
Io, almeno, lo spero. Forza Mattarella, ci illuda che andrà controcorrente e che sia azzeccata la scelta di un presidente lontanissimo dal chiacchiericcio quotidiano della nostra politica. Viva l’Italia.
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