Paola Cortellesi: "La mia voglia di libertà è nata in periferia"
«La protagonista del nuovo film, Monica, dice ancora: “Me so’ capita io”, quando qualcuno non la capisce?». «Le gemelle cleptomani Pamela e Sue Ellen tornano a fare irruzione nella vita dei protagonisti?». «E Luce, l’ex moglie svampita di Antonio Albanese, continua a coltivare lavanda in Provenza?». I miei amici mi tempestano di domande, appena racconto che sto per intervistare Paola Cortellesi per l’uscita di Come un gatto in tangenziale - Ritorno a Coccia di Morto, sequel del primo film, ormai di culto.
L’hanno visto tutti almeno due volte, citano le battute a memoria e mi accorgo di essere circondata da superfan di questa esilarante commedia, campione d’incassi. Per la sua interpretazione Cortellesi ha vinto un Ciak d’oro, un Nastro d’argento e un Globo d’oro come migliore attrice. E c’è grande attesa per il nuovo film: è ora nelle sale e non ha nulla da invidiare al primo per gag e ritmo. Si ride molto: l’attrice romana è la vulcanica Monica, che vive in una delle borgate più difficili di Roma, e Antonio Abanese è Giovanni, campione del politicamente corretto, questa volta impegnato in un progetto di recupero di uno spazio in periferia.
Rappresentano due mondi agli antipodi, due culture che si scontrano: ricchi e poveri, formalità e schiettezza popolare, sorrisi discreti e sghignazzi, sussurri e grida. È dalla loro contrapposizione che nascono le scene più brillanti del film. Con Paola parlo subito dell’indimenticabile look del suo personaggio: pantaloni attillati, tacchi, mini top con scritte e un’infinità di tatuaggi. «In tutto nove», dice. «Ogni giorno sul set bisognava ripristinarli. E per due mesi, anche se usavo una parrucca, sono andata in giro con i capelli bicolore: radice scura e le punte rosso acceso. Quando andavo a prendere mia figlia Laura a scuola, mi guardavano come se avessi sbagliato la tinta di brutto».
Che cosa le è piaciuto di questo personaggio?
«Monica, con quell’abbigliamento e quella parlata, è la somma di tante donne che abbiamo intervistato nella borgata di Bastogi, quando abbiamo sviluppato l’idea del primo film e dove abbiamo girato molte scene. Abbiamo giocato su questo stereotipo con gli abitanti, che non si sono offesi, anzi, si sono divertiti a partecipare alle riprese, a prendersi in giro. Ma è un personaggio che rispecchia un tipo di donna che conosco. Sono cresciuta in una borgata: la mia mamma non era così, ma qualche nostra vicina sì».
Com’era la sua vita da piccola nella borgata?
«Giocavo in cortile a “Campana”, saltando con un piede solo sulle caselle disegnate con il gesso, oppure a “Color color”: qualcuno nominava un colore e si correva verso un oggetto di quella tinta. L’ultimo arrivato, faceva penitenza. E poi si andava in bicicletta: mi mettevo in piedi dietro a qualcuno e spesso caracollavo e cadevo a terra. Ho ancora la cicatrice su un ginocchio».
E da ragazza?
«Ho preso molti autobus. Andavo in centro: dove abitavo non c’erano attività. La mia famiglia, però, mi ha sempre fornito degli stimoli. I miei non erano intellettuali, ma ci hanno sempre portato a vedere cose belle: i concerti, il teatro, come lo spettacolo I sette re di Roma di Gigi Proietti».
Come attrice, l’ha conosciuto personalmente?
«Ho avuto questa fortuna. Le cene con Proietti erano esilaranti: con quel vocione meraviglioso, l’aria pacata, ti raccontava episodi della sua gioventù e le barzellette. Normalmente le detesto, ma quelle di Gigi erano insuperabili. L’ho sempre venerato, fin da piccola quando andavamo in Calabria al mare, con tutte le valigie sopra il tettuccio dell’auto: papà, appena partiti, metteva l’audiocassetta A me gli occhi, please e ridevamo da morire. Quando l’ho conosciuto, dava confidenza, non si metteva mai sul piedistallo, ma per me è sempre rimasto un mito».
Oggi lei è un’attrice con una lunga carriera: ha già girato 31 film. Quando ha capito che il cinema sarebbe stata la sua strada?
«In realtà avrei vissuto di teatro per sempre, il mio sogno era vivere recitando, seguendo la mia passione. Invece mi è capitato molto di più: tanti riconoscimenti e l’amore del pubblico. Ma il momento in cui mi sono detta che volevo andare avanti con il cinema è recente e ho iniziato a scrivere le sceneggiature con Scusate se esisto!, nel 2014. Siamo di solito in quattro a firmarle, anche in Come un gatto in tangenziale 2: la nostra “ditta” è formata da me, Ric che è anche regista (suo marito Riccardo Milani, ndr), Furio Andreotti e Giulia Calenda. Da sceneggiatrice ho potuto scrivere i personaggi che mi sarebbe piaciuto interpretare e probabilmente nessuno mi avrebbe mai offerto. I ruoli da protagonista per le donne sono pochissimi e spesso legati a grandi drammi. Non c’è una tradizione di personaggi femminili divertenti. E ho pensato di scriverli io».
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