Matilde Gioli: «Certi luoghi ti cambiano per sempre»
È innamoratissima, Matilde. Ieri sera, quando pensavo come iniziare questo articolo, ho capito che non potevo cominciare se non da qui, perché l’amore si respira in ogni suo sguardo, parola, racconto, perfino quando parla di dolore o posa nel servizio di moda che le abbiamo scattato nel nuovo Adi Design Museum di Milano.
«Sono talmente innamorata che mi addormento con il sorriso», dice. Ride, quando parla di Alessandro, il suo nuovo fidanzato. «Lo so, mi sembra di essere un po’ cretina. Avevo tanto bisogno che arrivasse l’amore».
È una Matilde Gioli molto diversa da quella che ho conosciuto sette anni fa, quando Grazia le aveva dedicato la sua prima copertina. Allora era una ragazza distante, un po’ circospetta, diventata attrice per caso, rispondendo a un annuncio trovato appeso a un semaforo. Era stata travolta dal successo del suo primo film, Il capitale umano di Paolo Virzì: doveva prendere ancora le misure con un mondo sconosciuto.
Sette anni e 14 film dopo, incontro una donna che apre il suo cuore e contagia con la sua voglia di vivere.
Stamattina ha una pausa dal set. Di solito vengono a prenderla presto, alle 5, per andare a girare la seconda serie di Doc – Nelle tue mani. «Uscirà a metà gennaio», racconta. Ma prima di parlare del ruolo che le ha dato così tanta popolarità e del suo impegno nella campagna a favore del congelamento degli ovociti per preservare la fertilità nelle giovani donne, voglio raccontarvi la sua storia. Fin dall’inizio.
Mi racconti lei da piccola.
«Ero una bambina entusiasta. Conservo tanti video che il mio papà ha fatto con la cinepresa dell’epoca. Mi ritraggono con mio fratello maggiore Filippo e mamma, tutti a giocare per terra. Cantavamo e facevamo balletti improvvisati. I miei fratelli Francesco ed Eugenia sono arrivati una decina di anni dopo. Ogni tanto ancora adesso mamma, anche al ristorante, attacca con una delle canzoni dello Zecchino d’Oro che amavamo, Aggiungi un posto a tavola, e io e Filippo ci mettiamo a battere le mani e a cantare. Gli altri due si vergognano da morire: “Zitti, zitti”».
Che lavoro facevano i suoi genitori?
«Papà era dentista, passava tutto il giorno in studio, ma quando arrivava a casa la sera cucinava: gli piaceva. Mamma si è laureata in lingue, poi era andata a vivere a New York per frequentare la scuola interpreti ed è tornata insegnante. I miei si sono conosciuti a una festa: dopo sei mesi le nozze, dopo altri sei è nato Filippo. Volevano una famiglia e mia madre ha scelto di stare con noi. Ha ripreso a insegnare quando i miei fratelli piccoli avevano 3 o 4 anni e lo fa ancora al liceo».
Il legame con la sua famiglia è molto forte: sette anni fa, quando l’ho intervistata, sul set del servizio fotografico aveva portato sua sorella Eugenia. Allora aveva 15 anni, ma era lei a insegnarle a truccarsi. È ancora la sua consulente d’immagine?
«Sì, ma ogni tanto mi fa impazzire. Adesso sto molto a Roma e spesso lei va nella mia piccola casa di Milano per innaffiare l’olivo a cui tengo tantissimo. Si occupa della gatta, se la lascio lì. In cambio può prendere tutti i vestiti e le scarpe che vuole, ma io sono molto disordinata. Ogni tanto mi chiama: “Non sai quello che hai. Potresti creare bellissimi look”. Così mette in ordine e mi prepara degli outfit».
Lei si è sentita un po’ il capofamiglia, dopo la perdita del suo papà. È ancora così?
«Era un uomo responsabile, ma anche grande dispensatore di amore e tranquillità. Si è sentita molto la sua mancanza. I primi anni sono stati difficili, sentivo il compito di tenere tutti uniti. Poi la confusione e la rabbia si sono placate. Da qualche anno c’è solo la volontà di ritrovare la pace. Ora mi sento sostenuta da tutti».
Continua a leggere l'intervista a Matilde Gioli sul numero di Grazia ora in edicola.
Foto di Sonia Marin - Styling di Nicolò Milella
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