Lino Guanciale: «Io vivo nel mistero»
Schivo, introverso, con un segreto che lo rende tormentato. E per questo affascinante. Ha fatto ascolti da record, quasi 6 milioni di spettatori Il commissario Ricciardi, la fiction di Rai Uno in onda fino al primo marzo (e disponibile su Rai Play). Se questo personaggio, nato dalla penna di Maurizio de Giovanni, ha fatto breccia nei nostri cuori è anche merito dell’attore che lo interpreta, Lino Guanciale, 41 anni. «Il materiale per portare avanti la narrazione c’è. Abbiamo girato i primi sei romanzi, ma ce ne sono altri sei. Con Ricciardi potrebbe non essere un addio, ma un arrivederci», dice sibillino Guanciale.
L’attore non è nuovo a ruoli in serie di successo come Il segreto dell’acqua, La porta rossa, Non dirlo al mio capo e Che Dio ci aiuti. Senza parlare delle decine di film d’autore e del teatro, sua grande passione oggi ferma causa Covid.
Originario di Avezzano, in provincia dell’Aquila, ha cominciato presto ad appassionarsi al cinema iscrivendosi all’Accademia Nazionale d’arte drammatica di Roma vincendo, l’anno dopo, il Premio Gassmann. Oggi quello del commissario Ricciardi sembra un ruolo tagliato su di lui.
Si dice che ci fossero in lizza altri attori per il ruolo di Ricciardi. Perché hanno scelto lei?
«Non so chi fossero gli altri, ma credo mi abbia avvantaggiato essere stato un lettore appassionato di Maurizio De Giovanni e dei romanzi che avevano per protagonista Ricciardi. Il regista, Alessandro D’Alatri, aveva le idee chiare su come impostare il lavoro, voleva girare un classico. Dopo il nostro primo incontro mi venne a vedere a teatro e credo che lì si convinse a scegliere me».
Ricciardi è un uomo che non esprime i propri sentimenti. Anche lei è così?
«È un personaggio struggente, un uomo che crede nell’etica e a lui devo molte riflessioni. Prima di tutto ho capito di non dover dare mai per scontate le manifestazioni d’affetto. Quando Ricciardi sorride o tocca qualcuno, è perché lo vuole fare. Non lo fa per quieto vivere o per convenzione. Quest’attenzione ai gesti ho imparato ad apprezzarla con lui».
Qual è stata la sfida più grande?
«Far parlare le emozioni attraverso gli sguardi piuttosto che le parole. Cercare di selezionare al massimo le azioni. Il personaggio acquista forza e profondità».
Anche lei è un introverso?
«Sono riservato, anzi sono un “allegro introverso”. La socialità per me è un valore, mi piace la compagnia delle persone, parlo molto più di lui. A Ricciardi piacerebbe abbandonarsi all’allegria, ma ha addosso una persecuzione che non gli consente di farlo».
Sembra che gli sia affezionato, come se non fosse ancora uscito dal personaggio.
«In parte è vero, anche se sto già lavorando su altro. Mi è capitato di interpretare personaggi e pronunciare frasi che nella vita non avrei mai detto. Con Ricciardi è accaduto l’inverso, in certi momenti mi chiedevo: “Perché non dici questa cosa, perché non ti lasci andare, perché non apri la finestra e urli a Enrica, la vicina che ama a distanza, qualcosa?”. Sento di volergli bene, come i personaggi che gli sono più vicini e che lo proteggono. Da lui non pretendi qualcosa che va al di là della sua natura, perché ciò che ti dà a livello emotivo è tantissimo».
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