«La vera vendetta del padre di Giulia»: l'editoriale di Silvia Grilli
Quando si verifica un crimine efferato, come un femminicidio su una donna che voleva essere libera, la maggioranza di noi invoca il regolamento dei conti. Nessuna morte ci pare abbastanza violenta, nessuna cella abbastanza angusta, nessuna detenzione sufficientemente lunga per smacchiare il sangue. Proviamo rancore e furia: mi faccio giustizia con le mie mani, pena di morte o almeno chiudere la porta del carcere e buttare via la chiave...
Alle presentazioni del suo libro, Cara Giulia - Quello che ho imparato da mia figlia, Gino Cecchettin ha raccontato di aver provato sentimenti di vendetta per l’assassino della sua creatura. Non voglio nominare il criminale. Neppure Cecchettin, nel suo libro, cita mai il nome del cosiddetto «bravo ragazzo» che ha straziato la fidanzata con venti coltellate mentre lei cercava disperatamente di difendersi, poi gliene ha sferrata una fatale alle spalle e l’ha lasciata morire dissanguata in un dirupo vicino a un lago.
Che cosa puoi provare dopo che ti uccidono una figlia in questo modo, se non una collera distruttiva che rovescerà fuori il tuo dolore, la tua rabbia e darà sollievo al male incontenibile che provi? Ma poi quel padre ha fatto altro: si è concentrato sul ricordo di una figlia che era amore puro. E l’odio si è placato.
Non sono Giulio Cecchettin, se mi calassi io nei suoi panni credo che troverei dentro di me solo buio, gigantesco vuoto, incapacità di continuare a vivere. Forse preferirei essere morta con la mia bambina. Non ci sarebbe più luce ogni mattina. Io mi fermo a osservarlo e vedo un uomo che è diventato un altro. Non è più quello prima della disgrazia che gli ha sconvolto la vita.
Ma, di fronte al baratro dell’inferno, ha scelto ancora l’innocenza: «Concentrarmi sul bene è stato facile, nel mio caso. Mi è bastato prendere lei, da quel momento in avanti, come esempio per tutte le mie azioni, togliendo dalla mia vita ogni sentimento di rabbia», dice. «Raccolgo le forze per gli altri due figli e per me stesso, non disdegno ciò che può rendermi felice, perché quello mi rende anche forte».
Abitiamo tutti un’immagine stabile del mondo, finché la violenza infrange il quadro e la realtà va in mille pezzi. Ma Cecchettin non è solo un padre a cui hanno ucciso la sua bambina. Ha rifiutato il ruolo di vittima. Per elaborare il lutto ha scritto un memoriale. Le vendite del libro finanzieranno la fondazione contro la violenza sulle donne intitolata a Giulia.
Forse negli anni in carcere che lo aspettano, l’assassino di sua figlia espierà il delitto più ignobile. Ma Gino Cecchettin ha deciso che non gli interessa. Non lo perdona, non lo odia. La sua vita è ripresa per dovere verso di sé, per gli altri suoi ragazzi, per una grande causa. L’esistenza dell’omicida di Giulia è invece destinata all’irrilevanza.
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