Lady Gaga: «Anche le vampire piangono»
Era una regina della trasgressione e un simbolo dell’eccesso. ma non le bastava più. Così Lady Gaga u2028ha cambiato tutto. E si è reinventata, diventando per la prima volta attrice. A Grazia la popstar racconta il suo ruolo u2028di protagonista in una serie tv di culto. Dove u2028uccide gli amanti, beve il loro sangue e ritrova se stessa
«Questo è di Tom Ford», dice Lady Gaga mentre mi viene incontro indossando uno stupendo abito nero. Siamo negli studi televisivi dove la star ha girato American Horror Story: Hotel, la serie tv giunta alla quinta stagione (su Fox dal 21 dicembre alle 22.45). Per la prima volta Stefani Germanotta, questo il suo vero nome, è attrice e protagonista sullo schermo. E penso che per lei il 2015 sia stato l’anno in cui si è reinventata: alla soglia dei 30 anni, che compirà in marzo, l’icona della musica pop ha scoperto una nuova dimensione. Prima ha interpretato un album jazz insieme con Tony Bennett, poi si è buttata con tutta se stessa nella recitazione, con una serie horror con ascolti da record negli Stati Uniti. «Ho realizzato il mio grande sogno», ammette lei. «Desideravo diventare un’attrice e ora lo posso fare con i migliori sceneggiatori e con un uomo che stimo». Si sta riferendo al talentuoso regista Ryan Murphy, autore, tra l’altro, di Nip/Tuck, Glee e ora di American Horror Story. «Lady Gaga è una superstar e io l’ho scritturata senza fare provini: mi è bastato che dicesse di sì», riconosce il regista. E i fatti gli hanno dato ragione: Gaga ha ottenuto una nomination ai Golden Globe 2016 come miglior attrice di una serie tv.
Il tema e l’ambientazione del telefilm cambiano ogni anno. Ora siamo in un albergo di stile Art Déco degli Anni 30 che ospita personaggi misteriosi agli ordini della Contessa, interpretata da Lady Gaga. Una vampira spietata e glam. E adesso che ci penso, la nostra intervista si svolge nella stanza 64, dove la Contessa e i suoi amanti vivono, muoiono e rinascono come giovani vampiri. Ho un brivido.
Il suo primo personaggio come attrice è un concentrato di erotismo e femminilità.
«Per me lei non è né una donna né un uomo: la Contessa è un mostro. Ma straordinario, sublime, risplendente di glamour. Sprigiona tanto fascino perché ha la particolarità di avere vissuto per oltre un secolo e di avere conservato, però, il corpo seducente di quando aveva 25 anni. Appare giovane, invece è matura. Fuori è sexy, dentro intelligente. E questo rende la Contessa estremamente attraente. Anche la sua vulnerabilità, che la spinge a piangere e disperarsi, è sublime, perché, grazie all’esperienza accumulata, non teme il giudizio degli altri. Spero che al pubblico serva da ispirazione un personaggio che sa muoversi con abilità nel caos della propria identità».
Anche lei, Gaga, è una donna potente.
«Ne sono consapevole. Quando diventi famoso, ti chiedi come vuoi usare la tua capacità di influenzare gli altri. E da subito io ho deciso due cose. La prima è che volevo essere onesta fino in fondo, sia come donna sia come persona. E siccome nella mia vita mi sono sentita molto sola, il mio desiderio è sempre stato quello di aiutare i ragazzi che si sentono senza nessuno. In più, so di avere un lato oscuro che amo esplorare, perché lo trovo piacevole. E il personaggio della Contessa mi ha aiutata nell’opera. Lei è perfida, uccide e beve sangue. Non lo fa per cattiveria, ma per poter sopravvivere. Non insegna a essere malvagi, ma a superare il dolore».
C’è una scena in cui lei incontra l’attore John Travolta senza niente addosso e ricoperta di sangue.
«Avrò girato almeno una dozzina di scene di nudo negli episodi. Con John Travolta si è creata una situazione strana ed eccitante. Mi dispiace per lui: so che è famoso, ma la Contessa non può andare per il sottile quando si tratta di uccidere qualcuno. Anche se io sono una sua grande fan».
Lei è al suo debutto da attrice: com’è stato il primo giorno sul set?
«Indimenticabile. Sono arrivata in auto, dopo un viaggio di un’ora e mezza nel traffico di Los Angeles, ed ero emozionatissima. Prima non avevo mai girato un film, solo spot e video musicali, e recitare in una serie tv è un’esperienza tutta da scoprire. Quel giorno, appena ho visto il regista, gli ho detto: “Ryan, sto per vomitare”. E l’ho fatto. Mi ero sentita così in tensione solo quando ho cantato alla notte degli Oscar».
Il suo personaggio ha 100 anni. Lei quanti se ne sente?
«Mi sento terribilmente vecchia, sebbene abbia solo 29 anni e sia nello show business da quando ne avevo 15 e famosa da appena sette. A volte la mia assistente mi sgrida perché trova incredibile che una persona come me possa piangere da un momento all’altro: con tutto quello che ho ricevuto dalla vita. C’è gente che se lo può soltanto sognare. Ma mi succede spesso, è il mio karma, il destino. Però, da quando interpreto la Contessa, mi sento di nuovo giovane».
In scena lei indossa costumi straordinari. Come si veste nella vita di tutti i giorni?
«Gli abiti per me sono un modo per esprimere la mia libertà e rivelano sempre il mio stato d’animo. Se sono vestita come una pazza è perché, forse, sono fuori di testa, in quel momento. Se invece scelgo capi classici, significa che mi sento equilibrata e lo dico con un look tradizionale. Quando qualcuno pensa che stia esagerando è perché io ho scelto di farlo. Non mi lascio condizionare da niente e nessuno».
Però, a un certo punto della sua carriera, lei ha dichiarato di sentirsi rinchiusa in una gabbia.
«Sì, quando una parte del pubblico ha smesso di capirmi. Certe mie scelte di immagine venivano interpretate come una posa, una finzione. Ci sono tanti personaggi dello spettacolo, attori, cantanti, che si mettono in posa, che si danno delle arie. Non era il mio caso. Ma a un certo punto qualcuno non riusciva più a vedere quello che c’era dietro il mio look, la mia autenticità. Sono sopravvissuta e me ne sono fatta una ragione».
E come si sente in questo momento?
«Molto bene. Sul set televisivo mi sono aperta completamente e con il regista mi sento a mio agio come con nessun altro. Ryan mi ha permesso di scoprire una dimensione di me che non conoscevo. Mi ha fatto capire che se sono molto emotiva, e spesso mi sento confusa, non è perché sono diversa dagli altri, rovinata dalla fama o totalmente irrecuperabile. Sono solo una donna ipersensibile. E Ryan aggiunge un’altra cosa: che come attrice sono una star. Non sono mai stata così felice. E pensare che altri registi mi hanno scartata per mille ragioni: perché ero troppo giovane o troppo originale, per il naso grosso o perché sono bruna e non vado bene per la parte della bionda sciocca. Tutte scuse».
Come si rilassa quando ha del tempo libero?
«Che ci creda o no, rimango nella Room 64 della serie tv. Non sto scherzando. Per me è difficile tornare a casa, continuo a pensare al lavoro, ed è come se non lasciassi mai il set. Per il resto, la mattina cerco di fare una doccia calda, perché aiuta a liberare la mente».
Che cosa la fa più soffrire nella vita reale?
«Mi sento vicina alle persone fragili e vulnerabili. Non so perché, ma sono cresciuta sentendomi incredibilmente depressa e sola. Non dipende dalla mia famiglia, anzi, i miei genitori mi sono stati vicini. Soffro di un disturbo genetico, dunque ereditario. E a salvarmi non sono stati i medici e i farmaci, ma la musica. Fare la cantante e scrivere testi mi ha reso libera. E ora voglio contribuire a rendere più felici le persone sole e tristi attraverso la creatività: con la fantasia una persona può diventare qualsiasi cosa. Purtroppo al mondo ci sono molti uomini malvagi».
Mi fa un esempio di personaggio crudele?
«Uno a cui penso spesso è Vladimir Putin, il presidente russo (in passato Gaga ha criticato Putin per le leggi che in Russia impediscono di parlare in pubblico di omosessualità, ndr). Non capisco come si possa ricevere un potere e usarlo per fare del male agli altri. Detesto anche le persone che su internet prendono di mira gli altri, li insultano e denigrano. Con American Horror Story parliamo anche del problema dell’incomunicabilità, di come molti siano assorbiti da se stessi, schiavi del narcisismo e poco attenti agli altri. La tv può diffondere messaggi positivi».
Lei ha annunciato il suo fidanzamento con l’attore e modello Taylor Kinney, dopo quattro anni insieme: è amore?
«Sì, definirei spirituale il nostro rapporto. Prima di conoscerlo ero come una leonessa alla ricerca di un leone coraggioso. Solo un uomo forte può accettare di stare con una donna tanto esigente. Ma Taylor sembra fatto apposta per prendersi cura di me. E questo lo chiamo amore. Pensavo che nessun uomo, a parte mio padre, potesse essere abbastanza solido per sostenermi. Ora l’ho trovato».
Con il suo fidanzato parla anche di lavoro?
«Certo, mi capita di tornare a casa la sera e di essere ancora con la testa sul set: sono emotiva, mi lascio coinvolgere dai problemi. Ho bisogno di tempo per concentrarmi su altro. Ma lui mi capisce e sopporta tutto. Questo per me è un uomo forte».
E la sua famiglia come l’ha influenzata?
«La sorella di mio papà è morta giovanissima, quando lui aveva 15 anni. Questo ha sconvolto la vita di mio padre e quella dei suoi genitori, arrivati in nave dalla Sicilia: il nonno era calzolaio, la nonna casalinga. E così sono cresciuta cercando di andare avanti, fare sempre meglio e superare le difficoltà. Ci vogliamo bene e siamo molto uniti. Ma i miei hanno perso il lavoro dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, siamo dovuti ripartire da zero e sento che attraverso il mio successo loro devono ritrovare quello che hanno perso. Mi scusi, ma oggi mi sento vulnerabile, è tutto il giorno che giro scene molto coinvolgenti».
La tv le sta cambiando la vita?
«Mi sento apprezzata come mai prima. Sono cresciuta con un forte senso di inadeguatezza. Poi, a 19 anni, ho subìto un abuso sessuale (Gaga ha raccontato di essere stata violentata da un uomo di 20 anni più grande di lei, ndr). E nel tempo mi sono sentita tradita da persone che credevo amiche. Ora recitare in tv è come un sogno che diventa realtà. Sono qui per parlare del mio nuovo ruolo di attrice: solo due anni fa, chi l’avrebbe potuto immaginare?».
La sua esistenza sta cambiando alla velocità della luce: come le piace essere chiamata, adesso?
«È strano, sono abituata a tanti nomi diversi. Molti dicono Gaga, e io rispondo come se fosse il mio vero nome, anzi, mi piace considerarlo tale. Ma va bene anche con Stephanie, Steph e Steffie. Mio padre mi chiama Loopy. Il mio uomo Babe».
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Jodie Foster: "Faccio film per capire chi sono"
Come trascorre il giorno del suo compleanno una diva planetaria come Jodie Foster, sotto i riflettori dall’età di tre anni? «Lavorando», mi risponde accomodata sulla poltrona, mentre sorseggia un cappuccino. Neanche a farlo apposta la incontro proprio il giorno in cui compie 63 anni e mi confida che finita l’intervista andrà con gli amici a festeggiare. Sessant’anni di carriera tondi, fresca del Golden Globe vinto a gennaio per la sua performance nella serie True Detective: Night Country, la regista e attrice torna al cinema con il nuovo film di Rebecca Zlotowski Vita Privata. Presentato in anteprima al Festival di Cannes e dall’11 dicembre al cinema, la vede calarsi nei panni della nevrotica psichiatra Lilian Steiner, ossessionata da un caso molto delicato.
Che rapporto ha con il passare del tempo?
«Buono. Mi sento più felice che mai in vita mia».
Davvero?
«Parlo di una gioia profonda, non di quello che mi accade giorno per giorno. Le cose della vita, belle e brutte, capitano. Ma vivo un momento in cui il lavoro sta andando sempre meglio e ho superato l’ansia delle domande: “Sarò in grado di farcela con le mie forze?”, “Avrò una famiglia?”. Tutte questioni archiviate, per fortuna non devo più preoccuparmene. Da giovane passavo tanto tempo a pensare a me stessa, dopo una certa età mi sono concentrata sulle storie degli altri, è più facile e divertente».
Anche in Vita privata ascolta le storie degli altri.
«La mia Lilian non è una psichiatra risolta, anzi, è parecchio nevrotica. Non riesce a comprendere come sia possibile che la sua paziente in cura da nove anni (Virginie Efira, ndr) si sia potuta uccidere. Non ci crede, non ammette la possibilità che lei, in quanto psichiatra, sia stata così sorda».
Ritiene che come società abbiamo perso il potere di ascoltare?
«Mostrare curiosità verso gli altri è tutto. Noi attori siamo allenati all’ascolto, per lavoro siamo chiamati a calarci nelle vite degli altri ed è una bella abitudine mettersi nei panni altrui, un esercizio che possiamo fare tutti. Ci aiuterebbe come società».
Dal titolo del film alla realtà, essendo conosciuta in tutto il mondo sin da piccola come ha fatto a proteggere la sua, di vita privata?
«Sforzandomi sempre molto. Lavorando sin da bambina sapevo di dovermi proteggere: volevo andare a Disneyland, ma senza le telecamere che mi seguissero. Volevo essere libera di andare al supermercato, o prenotare un volo senza che nessuno lo facesse al posto mio. Ci ho sempre tenuto a mantenere viva la mia indipendenza, tracciando una linea netta tra la mia vita pubblica e quella privata. Oggi sono contenta di aver seguito quell’impulso».
Nel film la sentiamo sfoggiare un francese fluente…
«Mi fa sentire più sicura di me, rispetto all’inglese. Sarà che devo la passione per il francese a mia madre, che me lo fece studiare».
Come mai?
«Non aveva mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti fino ai cinquant’anni, ma la cultura europea l’affascinava. Comprava di continuo riviste e libri su Parigi e Napoleone, addirittura dipinse le pareti di casa con i colori delle antiche pietre romane. Quando ero bambina fece il viaggio dei suoi sogni e andò in Francia, con un tour in bus di quelli turistici».
Che cosa le disse al ritorno?
«"Jodie, impara il francese e diventa una grande attrice francese". Era il suo modo di dirmi che sognava per me una vita più ampia di quella americana. Anche perché erano gli anni 70, al potere c’era Nixon, non era facile essere americani. A mia madre piaceva l’idea che potessi scegliere di essere libera di inventarmi una vita tutta mia».
Ha fatto lo stesso con i suoi figli?
«Dovrebbe chiederlo a loro (Charlie e Kit, 27 e 24 anni, ndr). Intanto uno di loro sa parlare benissimo il tedesco, le mie radici tedesche ne sono contente».
Che rapporto ha con la psichiatria?
«Sempre stata scettica, ma una volta mi sono fatta ipnotizzare».
Com’è andata?
«Mi ripetevo: "Ma perché pagare 90 dollari a un tipo quando potrei smettere di fumare gratis oggi stesso?", eppure ha funzionato. Non amo la psicanalisi, per quanto la trovi attraente da un punto di vista cinematografico: non mi piace Freud, in America nessuno lo stima più, era un grandissimo sessista. Trovo però importante che al cinema si parli di salute mentale».
E che si mostri come le donne over 50 abbiano desideri, diritto al piacere e una vita sessuale appagante, come la sua Lilian con l’ex marito interpretato da Daniel Auteuil: perché tutto questo al cinema si vede ancora poco?
«Dovremmo parlare per ore della rappresentazione del corpo femminile. Purtroppo i pregiudizi sulle donne dopo una certa età sopravvivono, non solo al cinema. Ma sono speranzosa: registe come Zlotowski dimostrano di voler raccontare le donne per quello che sono, con tutti i loro desideri. La mia Liliane non è solo una psichiatra, una madre e una nonna, ma una donna che si esprime anche attraverso il corpo».
Con Auteuil avete avuto un intimacy coordinator?
«È una figura che ho scoperto sul set di True Detective. Ho detto: "Che lavoro pazzesco, dov’eri tu quando avevo 16 anni?". Ormai io e Auteil abbiamo superato i 60 e abbiamo risolto senza, ma sono contenta che questa figura esista, era importante che ci fosse».
Che cosa di lei non hanno mai capito finora?
«Non sono seria come credono. Non ho mai capito perché il pubblico mi affibbi quest’aura di serietà, io sono una persona leggera. Certo, se mi fanno domande serie rispondo in modo serio e amo fare lavori significativi, ma se sapeste com’è la mia giornata ideale cambiereste idea».
Com’è la sua giornata ideale?
«Sveglia presto, sci ai piedi, la sera una partita di calcio in tv e una cena gustosa. Altro che tormentata, sono una persona felice e ottimista verso il futuro».
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Come trasformare l'eredità in un'opportunità per i propri figli
Elena Valzania ha 57 anni e vive a Ravenna, in una casa che ha ereditato dalla sua famiglia. Cresciuta in un contesto economicamente stabile, è stata segnata più di quanto pensasse da ciò che ha ricevuto in eredità: non solo beni, ma un intero modo di vivere e pensare il denaro. «I nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano».
A un certo punto, la malattia entra nella sua storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. Il padre di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando lei ha 20 anni. Insieme con i beni materiali, Elena riceve anche un’eredità invisibile: l’idea che il lavoro debba essere per forza fatica. Un peso silenzioso che la accompagna a lungo, anche dopo la laurea in Farmacia, quando si avvicina all’omeopatia e inizia a lavorare. «Rispetto allo studio, lavorare mi sembrava facilissimo, ma proprio per questo mi pareva che non valesse abbastanza». E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio.
La sua carriera aziendale si interrompe durante la sua prima maternità: l’azienda viene acquisita e, al rientro dal congedo, capisce che stanno cercando di spingerla alle dimissioni.
Da allora, Elena non è più rientrata nel mondo del lavoro “ufficiale”. I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Mio marito e io abbiamo sempre avuto la mentalità di investire sulla nostra famiglia. Tuttora siamo concentrati sul mantenere i nostri tre figli agli studi e i beni di famiglia sono un mezzo per sostenere questa nuova generazione».
Parola all'esperta: le polizze come strumento di tutela
RISPONDE ELENA BELLUCCI DELL’AGENZIA ALLEANZA DI EMPOLI (FI)
1) Come si gestisce un’eredità ricevuta?
«Ricevere un’eredità può risultare persino destabilizzante, specie se si tratta di grandi somme, e senza una gestione attenta il rischio è di sperperare il patrimonio o di non trarne vantaggio. È insomma necessaria un’attenta pianificazione che parta dai bisogni dell’individuo o della famiglia, ragione per cui può essere molto utile affidarsi a un buon consulente assicurativo e finanziario. Tra le soluzioni possibili ci sono le polizze di investimento, che combinano l’opportunità di investimento con la componente assicurativa, che offre una protezione sul capitale o sul rischio di vita. Ne esistono di diversi tipi: con quelle a capitale garantito, per esempio, si ha la certezza che il capitale che sarà restituito all’uscita dall’investimento non sarà inferiore a quello versato».
2) Che vantaggi hanno, rispetto alle altre soluzioni?
«Le polizze da investimento sono nate per chi desidera assicurare un sostegno economico ai propri cari, anche in caso di decesso, con l’aggiunta di un rendimento. Offrono però anche altri vantaggi: uno dei più importanti sta nel fatto che il capitale così collocato non rientra nell’asse ereditario e non viene considerato nel calcolo dell’eredità ai fini della tassa di successione. In caso di morte del contraente le somme passano al beneficiario, nel rispetto delle quote di eredità legittime disponibili, e questo rende la polizza un ottimo strumento per tutelare le coppie non sposate o i minori».
Testo di Annalisa Monfreda
*co-fondatrice di Rame, rameplatform.com
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«Quanto ti dicono: "se non puoi violentare tua moglie, chi puoi violentare?"»: l'editoriale di Silvia Grilli
In una scena di C'è ancora domani, la protagonista Delia, costretta dal marito brutale a un rapporto sessuale, toglie un granellino di polvere dal comodino, completamente estranea a quanto le sta accadendo. La dissociazione è un'autodifesa comune tra le vittime di stupro.
Una ragazza che intervistai mi raccontò che, durante la violenza, cercava di ricordare le parole delle sue canzoni preferite. Era come congelata nel panico: non urlò, non si mosse, terrorizzata di subire ulteriori aggressioni.
Jessica Mann, una delle testimoni al processo contro il produttore stupratore Harvey Weinstein, ha ricordato di essere rimasta immobile, mentre lui la violentava. Mann ha citato in tribunale uno studio scientifico sulle difese messe in atto da esseri umani e animali. Questi ultimi si fingono morti di fronte a un attacco, perché così i predatori sembrano perdere interesse. Ma, per ironia della sorte, è proprio l’immobilità della vittima a mettere in dubbio la credibilità delle donne nei dibattimenti per stupro. «Non si è mossa, quindi vuol dire che ci stava».
Giorgia Meloni ed Elly Schlein hanno voluto una legge per cambiare la vecchia norma, secondo la quale è reato solo se si viene costrette ad atti sessuali con modi violenti o minacce. Le due leader condividono l’idea che il consenso debba essere dichiarato all’inizio e durante il rapporto.
L’atto sessuale deve avvenire per libera scelta, non per ricatto, abuso di potere o quando la volontà è ridotta per effetto di alcol o sostanze. E non è consenso solo perché si era detto «sì» in passato o perché si è sposati. Il silenzio o l’inerzia non sono acquiescenza, ma una conseguenza della violenza stessa. E ci si può tirare indietro, anche dopo aver, inizialmente, condiviso l’approccio.
La legge, nata dal patto Meloni-Schlein, è stata approvata all’unanimità dalla Camera dei deputati. Ma al Senato, nella Giornata contro la violenza degli uomini sulle donne, è stata bloccata e rinviata. Il ministro Matteo Salvini sostiene che «Il consenso preliminare lascia spazio a vendette personali che intaserebbero i tribunali».
Cioè, la magistratura si ritroverebbe con orde di donne che mentono. Sinceramente, non ho mai visto in Italia tutta questa folla di femmine pronte ad accusare per incastrare qualcuno. Sinceramente, mi pare il contrario: le vittime non denunciano perché conoscono bene gli interrogatori e il calvario che dovrebbero sopportare se lo facessero. Sinceramente, mi sembra una bocciatura per paura di perdere i privilegi maschili.
In una scena del film After the Hunt - Dopo la caccia, Julia Roberts dice a una studentessa che accusa un professore di stupro: «Non denunciare, altrimenti diventerai radioattiva. Il nostro sistema è dominato dai maschi. Ne avrai bisogno quando chiederai lavoro, e non lo otterrai perché saranno terrorizzati che un giorno tu possa accusare anche loro».
La notte del weekend scorso, a Milano, una ragazza ha denunciato per violenza un giovane con il quale si era allontanata. «Mi ha violentata», ha detto. «Era consenziente», ha ribattuto lui. Un consenso che fino a un certo punto c’è stato. Poi non più.
Lo stupro non è stupro solo se ti costringono con la pistola puntata alla tempia. Lo è anche quando io non voglio o non voglio più. Vale anche nel caso di rapporti sessuali tra conviventi: solo «sì» è «sì».
Anni fa, un senatore californiano si oppose a una legge contro lo stupro nel matrimonio, dicendo: «Se non puoi violentare tua moglie, chi puoi violentare?». Ecco, è proprio questo il concetto: né il corpo di tua moglie né quello della ragazza che si allontana con te, poi cambia idea, ti appartengono. Il loro corpo è loro, non tuo.
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GRAZIA presenta il numero straordinario "L'arte è donna" con direttrice ospite Patrizia Sandretto Re Rebaudengo
Grazia, il magazine di Reworld Media diretto da Silvia Grilli, presenta il numero straordinario L'arte è donna. Il talento e il coraggio di artiste, galleriste, progettiste, collezioniste sono il filo conduttore di questa edizione speciale che ha come direttrice ospite Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, fondatrice e presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, collezionista e mecenate riconosciuta a livello internazionale.
“Nella storia dell’arte le donne sono state cancellate o relegate al ruolo di mute muse ispiratrici, tagliate fuori dalle scuole, dalle botteghe degli artisti”, dichiara Silvia Grilli, direttrice di Grazia. “Con questo numero abbiamo voluto invece raccontare il talento femminile che c’è e c’è sempre stato, la creatività, pervicacia e abnegazione delle artiste donne, il loro sguardo diverso. Quando ho chiesto a Patrizia Sandretto Re Rebaudengo di curare questo numero di Grazia, ho trovato un’interlocutrice appassionata, capace di raccontare nel modo migliore quel genio che non è appannaggio esclusivo degli uomini”.
“Questo numero speciale contiene storie, opere e luoghi che raccontano la mia vita con l’arte contemporanea, sul filo di una grande passione, un sogno, una visione che seguo e inseguo da oltre trent’anni”, spiega la direttrice ospite Patrizia Sandretto Re Rebaudengo. “Fra queste pagine, quel filo rosso è diventato un progetto a più voci che ha unito le forze per parlare dei cambiamenti del mondo delle donne: artiste, collezioniste, direttrici di musei, architette, scienziate. Nessun separatismo, le storie che abbiamo scelto, insieme con la direttrice Silvia Grilli e lo staff di Grazia, superano la tradizionale categoria di ‘femminile’, nell’editoria così come nell’arte, per portarci in un territorio di ricerca, uno spazio plurale, aperto sul presente, sensibile al diritto all’autodeterminazione, al di là di nascita e appartenenze”.
La copertina del numero è un’opera della pittrice e fotografa polacca Paulina Olowska intitolata Weeds (2017 - Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo) che attraverso un nudo femminile - genere che nella storia dell’arte è stato per lo più appannaggio dello sguardo maschile - reclama la propria libertà di espressione.
Per raccontare il suo percorso, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo si è affidata alle domande attente del giornalista Dario Maltese e insieme hanno parlato di arte, emozioni e futuro. Si prosegue poi con Hans-Ulrich Obrist, curatore d’arte e direttore artistico delle Serpentine Galleries di Londra, che intervista per Grazia l’architetta messicana Frida Escobedo, che realizza progetti nati dal suo bisogno di comunicare.
E il mondo scoprì le artiste è invece un’inchiesta approfondita sui grandi talenti dimenticati dalla storia. Pittrici e scultrici hanno infatti dovuto lottare e affrontare una moltitudine di ostacoli che non hanno diminuito il loro valore, ma spesso ne hanno cancellato traccia. Storiche dell’arte e curatrici stanno così adottando nuove strategie per restituire loro visibilità, mettendo in atto una vera e propria rivoluzione creativa.
Anche la moda è in linea con il tema portante del giornale: i bijoux americani degli Anni 30 collezionati da Patrizia Sandretto re Rebaudengo saranno abbinati a look liberi e anticonformisti e avranno come sfondo le opere della pittrice Pia Krajewski.
Sulle pagine della rivista ci sono poi due artisti che vanno oltre le definizioni di genere, lasciando spazio alle loro visioni: si parla di arte e natura con Jota Mombaça e di linguaggi e inclusione con Diana Anselmo.
Anche il rapporto tra arte e cinema è strettissimo: il grande schermo ha raccontato le vite e il tormento dei geni della pittura e Paola Malanga, direttrice artistica della Festa del Cinema di Roma, ha scelto per Grazia le pellicole da non perdere.
Nella sezione dedicata alla cultura, con la collaborazione della Fondazione Sandretto re Rebaudengo, vengono spiegati i percorsi artistici formativi e segnalate le 10 mostre dell’inverno da non perdere che guidano i lettori e le lettrici in un viaggio di linguaggi diversi.
Infine uno spazio è dedicato anche alle eccellenze mediche al servizio della salute delle donne della Fondazione IEO-MONZINO ETS, di cui Patrizia Sandretto Re Rebaudengo è presidente. A parlare delle conquiste nelle terapie e nella prevenzione decisive per le pazienti sono la specialista di senologia Viviana Galimberti e la cardiologa Daniela Trabattoni.
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