Le vacanze sono finite. Per quel che mi riguarda, me ne ricorderò a lungo. Per molti motivi, sia pubblici che privati.
Innanzi tutto, piccola nota personale: per la prima volta nella mia vita professionale, mi sono concessa quattro settimane di ferie. Lasciate stare che parlavo ogni giorno con la redazione e che la tecnologia consente, a noi direttori accentratori e perfezionisti, di seguire tutte le fasi del lavoro, fin nei minimi dettagli, anche dai più sperduti angoli del mondo.
Per me è comunque un record, da ricordare insieme a quello del caldo torrido. Lo so, è il ritornello di ogni estate, ma questa volta, assicurano i meteorologi, sono state davvero battute tutte le medie nazionali.
Detto questo, tra pochissimo cominceremo a dire che le giornate si stanno accorciando e da lì al dibattito sulle temperature glaciali dell’inverno il passo è breve. Insomma, siamo nati per soffrire, ma soprattutto per lamentarci.
La stagione, comunque, è stata hot anche dal punto di vista economico-finanziario. Le borse hanno fatto tremare i mercati di tutto il mondo, ogni giorno era diventato un bollettino di guerra: più il termometro andava su e più gli indici andavano giù. E il governo italiano è stato costretto a varare una manovra così onerosa per molti che qualcuno ha proposto per i lavoratori dipendenti, che saranno gravati, come si sa, di una tassa di solidarietà, una T-shirt da sfoggiare sul posto di lavoro con la scritta “Sono un eroe fiscale”.
Ci sto seriamente pensando… La vera guerra, però, è quella che si combatte in Libia e che ha visto coinvolti quattro giornalisti italiani, rapiti e poi, per fortuna, rilasciati incolumi. Confesso che normalmente quando ricevo l’ennesima mail dell’ennesimo figlio/figlia di una lettrice di «Grazia» che mi chiede come si fa a diventare giornalista, devo vincere l’impulso a dissuaderli.
Cuore di mamma, avrei voglia di spiegare che il settore dell’editoria è in crisi, la gente legge sempre di meno, internet è un concorrente agguerrito e qualche volta anche sleale… Ma poi penso all’entusiasmo con cui ho cominciato io tanti anni fa e all’orgoglio con cui tutti noi guardiamo a quei colleghi, gli inviati che ci raccontano le realtà più difficili e pericolose del mondo, davvero a rischio della loro vita, e allora ritorno ottimista per il mio mestiere e il suo futuro.
Ma quest’estate, lo ammetto, la ricorderò soprattutto perché mio figlio ha compiuto 18 anni. Vi evito, per quel minimo di pudore che mi è rimasto, la cantilena del “sembra ieri che…” con cui ho ammorbato amici e parenti, però voglio avvisare tutte le mamme di adolescenti: è un passaggio chiave e ve ne accorgerete.
Potrai votare, gli ho detto un po’ commossa. Potrò guidare, mi ha risposto lui. E già questo la dice lunga sul salto generazionale. Ma la novità più eclatante è che il neo diciottenne ha cominciato a leggere il quotidiano, tutti i giorni.
Come la maggior parte dei suoi coetanei, credo, non l’aveva mai degnato di particolare attenzione: un’occhiata ogni tanto, rigorosamente alle pagine dello sport e solo se c’era un evento particolare, che sostanzialmente voleva dire qualche partita importante.
Il fatto inspiegabile, e che andrebbe studiato, era che comunque la sera a cena era perfettamente in grado di chiacchierare di quello che era successo nel mondo e ancora non ho capito quali fossero le sue fonti: internet, la televisione, gli amici, il telefonino, chissà.
Adesso invece quando arrivano i giornali, se ne accaparra velocemente uno e lo legge, attentamente e con soddisfazione. Con quel piacere che solo la carta stampata sa dare a chi la sa apprezzare.
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