Nei suoi film l’attrice vive sempre passioni controcorrente. E fa lo stesso anche nella vita privata. Perché ha imparato, spiega a Grazia, che i sentimenti veri sono così: «Non puoi definirli, ma non puoi nemmeno farne a meno»
È strano incontrare Kristen Stewart a New York. Viviamo entrambi a Los Angeles, eppure oggi siamo al Crosby Hotel, a pochi isolati dal nuovo sito del World Trade Center. La ragione è che l’attrice in questi giorni è impegnata in un tour de force di presentazioni dei suoi film: il fantascientifico Equals (nelle sale dal 4 agosto) e la raffinata commedia di Woody Allen Café Society (che negli Stati Uniti esce il 12 agosto e arriverà in Italia solo a fine settembre). Ma se siamo qui c’è anche un altro motivo: l’attrice 26enne, una delle dieci interpreti più pagate nel mondo, dopo tanto lavoro sul set, sta per iniziare la sua avventura da regista e ha voglia di novità.
Una la sfoggia all’avambraccio sinistro ed è un nuovo tatuaggio. La scritta dice: “One more time with feeling”, la frase tormentone che di solito i registi indirizzano ai loro attori e che potremmo tradurre: «Facciamo un’altra volta la stessa scena, ma stavolta voglio più sentimento». In realtà, spiega Kristen, è una regola che vale per tutto nella vita: «Se la prima volta non è andata bene, puoi sempre ritentare mettendoci il cuore».
E anche se nel nostro incontro sono vietatissime le domande sulla relazione dell’attrice con la sua assistente Alicia Cargile, che arriva dopo quella con la cantante francese Soko, oggi Stewart sembra aver voglia di parlare di sentimenti. Che poi sono il tema dei suoi due film: in Equals interpreta Nia, una ragazza che, in una società futuristica dove relazioni ed emozioni sono bandite, si innamora di Silas, il ragazzo interpretato dall’attore britannico Nicholas Hoult. In Café Society, invece, è Vonnie, la segretaria vestita Chanel (marchio per il quale Stewart è anche testimonial make up) che fa perdere la testa al giovane newyorkese interpretato da Jesse Eisenberg.
Nei suoi ultimi film ha affrontato il tema dell’amore, ma da diversi punti di vista: quello platonico, quello adolescenziale, quello appassionato, quello non corrisposto e quello tra amici. Quale trova sia il più coinvolgente?
«Non ce ne è uno che valga più dell’altro. Anzi, l’amore secondo me non può essere incasellato in nessuna categoria. È il suo bello: non puoi definirlo, ma non puoi farne a meno. Io, poi, non mi comporto allo stesso modo con tutti: con i miei amici ho un rapporto, con la mia famiglia un altro ancora, con lei che mi sta intervistando uno del tutto differente. Ci sono tanti modi di volersi bene. E tanti di volere bene».
Nel film Equals interpreta una ragazza che vive in una società dove chi ama rischia la vita.
«Sì, non è proprio un mondo che fa per me».
Invece nel film di Woody Allen, Café Society, il suo personaggio, Vonnie, deve scegliere tra un uomo adulto ma di successo, interpretato da Steve Carell, e un giovane senza denaro, Jesse Eisenberg. Lei quale sceglierebbe?
«Il film è ambientato negli Anni 30 e, a quel tempo, una delle priorità per una donna era trovare qualcuno che potesse prendersi cura di lei. L’indipendenza femminile non era neanche una questione sul tavolo. Quella che vedrete al cinema è una ragazza che si diverte molto con l’uomo ricco interpretato da Carell, ma scopre anche una vita più tranquilla, per certi versi più intima, con il ragazzo squattrinato».
Non mi ha detto chi sceglierebbe.
«Non mi trovo mai a mio agio a dover decidere al posto dei personaggi che interpreto. Personalmente stare con Jesse Eisenberg mi piace molto, quindi alla fine uscirei con lui».
Lei ha mai sofferto per amore?
«Sofferto? Sono stata devastata».
E come è guarita?
«Andando avanti con la mia vita, facendo le mie scelte senza voltarmi indietro. All’inizio stai male, ma poi capisci che ogni singolo minuto passato a soffrire ti renderà più forte e consapevole. Per questo non sarei disposta a scambiare quel dolore con niente: meglio star male che essere completamente insensibili. E poi dobbiamo ricordarci sempre che siamo noi i responsabili della nostra felicità e che siamo fatti per innamorarci. Caspita, da come parlo, forse dovrei scrivere uno di quei libri di auto-aiuto per cuori infranti».
La scorsa settimana è apparsa in un talk show televisivo e ha sfidato a Twister (un gioco di equilibrio per bambini) il presentatore, Jimmy Fallon. Lì ha mostrato il suo lato competitivo. È sempre stata così?
«In casa mia ero l’unica figlia femmina e la mia vita è sempre stata un: “Posso farcela anch’io, posso farcela anch’io” (Kristen ha un fratello maggiore, Cameron, e due fratelli adottivi, Taylor e Dana, ndr). Non è che io muoia dalla voglia di emergere in ogni situazione, ma se gioco, voglio vincere e non mi vergogno a dirlo. Di solito, però, agli altri piaci di più se perdi».
Lei è una celeb mondiale, un’icona di stile e una delle attrici più pagate. Che cosa farebbe se potesse godere dell’anonimato?
«Farei una passeggiata da sola, magari andrei in un centro commerciale o in un altro posto pieno di persone. Non perché mi piacciano i centri commerciali, ma perché potrei finalmente guardare bene in faccia qualcuno senza poi essere riconosciuta. A volte penso di essere diventata un’attrice solo per via della mia curiosità verso le vite delle altre persone».
Lei ha cominciato prestissimo, a 9 anni era la figlia di Jodie Foster nel film Panic Room. Che cosa la conquistò, allora?
«All’inizio pensavo solo a trovare un lavoro, andare sul set, dire qualche battuta. Solo dopo ho scoperto quanta passione avessi per il cinema e quanta arte ci fosse nella costruzione di ogni singola scena».
Nel 2007 ci siamo incontrati per il film Into the Wild, ma lei era ancora una ragazza timida e riservata. Oggi sembra una donna determinata e sicura di sé. Che cos’altro dobbiamo aspettarci da lei?
«Un film, un film mio. Nell’ultimo anno ho lavorato su cinque set diversi e adesso ho l’occasione di realizzare in tre settimane un cortometraggio che ho scritto. Sono felicissima, perché sin da bambina volevo creare qualcosa di mio al 100 per cento e ora ne ho l’occasione».
Di che cosa parlerà?
«Si chiamerà Come Swim (“Vieni a nuotare”, ndr), ma ne voglio parlare solo quando sarà finito. Il protagonista sarà un mio amico di nome Josh: non è un attore, ma è fenomenale. Vedrete».
Ha chiesto qualche consiglio alla sua amica e mentore Jodie Foster?
«Quando le ho raccontato del film mi ha detto una frase che mi ha spiazzato: “La prima cosa che devi imparare è che non hai niente da imparare: sei già pronta”. Mi ha dato una bella iniezione di coraggio».
E invece che cos’è che le fa paura?
«Quando ero più giovane soffrivo di una sorta di ansia che non sapevo bene da dove venisse. Crescendo, ho imparato che è piuttosto normale avere dei momenti d’insicurezza».
Lei, grazie alla saga di Twilight, in cui era innamorata del vampiro interpretato dal suo ex Robert Pattinson, è stata anche un’eroina per tante adolescenti. Gode ancora dei benefìci di quel successo?
«Be’ sì: nessuno oggi mi avrebbe finanziato un cortometraggio, se non avessi fatto la parte di Bella».
Il film di Woody Allen si svolge a Los Angeles, la città in cui vive. Lei si sente davvero a casa a Hollywood?
«Sì, abito nell’area est, quella considerata più alternativa e meno turistica, un po’ quello che Brooklyn era fino a poco tempo fa per New York. Nel film il direttore della fotografia, Vittorio Storaro, mostra Hollywood con una luce dorata che è proprio quella della mia California, solare e positiva».
Il punto forte del film, però, sono anche gli abiti Chanel che lei indossa. Ne ha tenuto qualcuno per sé?
«Non stavolta. Di solito ne prendo uno da ogni set perché, alla fine delle riprese, sento che nessun’altra dovrebbe indossare i vestiti dei personaggi che ho interpretato. Ma stavolta era diverso, si trattava di vere opere d’arte che erano costate moltissimo lavoro».
Se potessi aprire il suo guardaroba che cosa ci troverei? Gli abiti che indossa sui red carpet?
«Qualcuno sì, soprattutto quelli degli ultimi Met Gala (la serata che si tiene ogni anno al Metropolitan Museum di New York, ndr). Ma la maggior parte di quello che metto sul tappeto rosso è in prestito. Quello che trovereste davvero nel mio armadio sono pareti intere di T-shirt e sneakers».
E basta?
«Sì, ma tutte molto particolari».
Un po’ come lei, penso, quando saluto la bambina di Hollywood che oggi ha imparato a essere una diva.
© Riproduzione riservata