Jourdan Dunn: «Più bella grazie a mio figlio»
A 19 anni era la madre single di un bambino bisognoso di cure. Ora è una delle top model più richieste e il nuovo volto del marchio Liu Jo. Jourdan Dunn parla con Grazia della sua trasformazione più grande. E di quando ha capito che, per essere sexy, basta un paio di jeans
L’ho rincorsa, persa, aspettata. Come una star che non si concede. Poi, all’incontro, Jourdan Dunn è arrivata con la disponbilità di un’amica. Spazzando con un sincero «Mi scusi», l’irritata perplessità che i continui rinvii avevano inevitabilmente fatto nascere: l’intervista, fissata per le 11.30, è stata spostata di mezz’ora in mezz’ora fino alle 17. «Sono stata travolta da una serie di interminabili riunioni», mi dice. Ed è sincera. Già, perché Jourdan Dunn, a 25 anni, è una delle top model più pagate e richieste del momento, la rivista americana Forbes l’ha messa in cima alla classifica delle donne di colore più ricche e influenti del mondo, i social network impazziscono per lei e il marchio di abbigliamento Liu Jo l’ha voluta come volto delle campagne pubblicitarie. Ma Dunn è soprattutto una mamma. Single e «piena di sensi di colpi per essere quasi sempre in viaggio».
Londinese di origini caraibiche, nata nel quartiere popolare di Greenford, venne scoperta a 16 anni mentre faceva shopping nei grandi magazzini Primark con un’amica. Messa subito sotto contratto dalla Storm Model, l’agenzia di Eva Herzigova, Kate Moss e Poppy Delevingne, aveva iniziato a sfilare per Ralph Lauren, Marc Jacobs, Burberry e Prada, quando, a 19 anni, annunciò di essere in attesa di un figlio: Riley, nato l’8 agosto 2009 da una relazione finita subito dopo, e affetto da anemia falciforme, una rara malattia genetica del sangue. Un evento che avrebbe potuto segnare la fine della sua carriera e che, invece, l’ha resa più forte. Più determinata. E l’ha fatta diventare un modello per tutte le “single mum” che, come lei, si sanno giostrare tra un lavoro impegnativo e un’altrettanto complicata vita familiare. «Per fortuna, quando sono via, Riley sta con mia mamma Dee», sospira. «È dura, ma almeno so che è in ottime mani».
Suo figlio non viene mai con lei?
«Non più. Ora va a scuola e per me la cosa più importante è che la sua routine non venga disturbata».
Quando era più piccolo, invece?
«Ci ho provato. Anche perché dover tornare al lavoro subito dopo la sua nascita, mi ha fatto sentire terribilmente in colpa. Arrivare a casa e scoprire che in mia assenza aveva imparato qualche nuova parola o che era riuscito a fare i primi passi, era orribile. E continua a esserlo».
Diventare mamma a 19 anni avendo già il mondo ai propri piedi immagino non sia stato facile.
«È merito di Riley se non mi sono montata la testa. Quando è nato, mi sono subito resa conto di essere responsabile di un altro essere umano. E ho scoperto che tutto quello che facevo poteva influenzare la sua vita. Paradossalmente, però, questo pensiero mi ha anche insegnato a rilassarmi. A non stressarmi troppo preoccupadomi di cose inutili».
A rilassarsi?
«Certo. Perché la mia priorità era il neonato che tenevo tra le braccia. All’epoca, la mia vita stava subendo un grande terremoto e sarebbe stato facile cedere alla tentazione di mettermi in un angolo a piangere. Ma non potevo. Come mi faceva presente mia madre, non ero sola, avevo un bambino a cui pensare e dovevo prendermi cura di lui. Tutto il resto era relativo. Soprattutto, Riley mi ha fatto capire quanto fossi privilegiata. Non sono molte le mamme 19enni che possono mantenersi da sole e provvedere a tutti bisogni del proprio figlio».
È vero che da adolescente si considerava troppo alta e sgraziata?
«A 15 anni ero già altissima e magrissima e nella mia famiglia, essere così non è un pregio. Anzi. Piacciono le curve. Non ero per nulla a mio agio in quel corpo da giraffa».
Qual è il ricordo più prezioso della sua infanzia?
«Ne parlavo giusto con mia mamma qualche giorno fa: la libertà di giocare all’aria aperta. Avevamo un giardino molto grande, con delle altalene e uno scivolo, tutti i bambini della strada venivano a casa nostra. Da bambina ero sempre fuori. Invece vedere piccoli in bicicletta nei parchi, oggi è sempre più raro».
Lei ha due fratelli minori, Antoine e Kain, che rapporto ha con loro? La viziano?
«Sono l’unica femmina della famiglia e confesso di averne approfittato. Da piccola facevo la “principessa”. Però una delle cose che mi piaceva di più era giocare a calcio con loro».
È molto amica delle top model Cara Delevingne e Karlie Kloss, l’altra testimonial di #Viceversa di Liu Jo. Come vi siete conosciute?
«Abbiamo iniziato più o meno insieme e ci siamo sostenute a vicenda. Ci aiutavamo, ci facevamo coraggio, eravamo la spina dorsale una dell’altra. Insomma, il nostro legame per me è stato fondamentale».
E ora, riuscite ancora a vedervi?
«Purtroppo sta diventando sempre più complicato. Ecco perché sono stata felicissima di dividere la scena con Karlie per Liu Jo».
Qual è il capo d’abbigliamento che ama di più?
«I jeans, che si addicono alle mie lunghissime gambe e che indosso spesso perché, dato che possono essere sportivi, ma anche eleganti, sono perfetti per una mamma che lavora».
E l’accessorio di cui non può fare a meno?
«Le sneakers. Nonostante sia una passione recente, ne ho tantissime. Le trovo comodissime e, secondo me, sono perfette sempre. Indipendentemente dallo stile o dal tipo di abbigliamento che hai».
Il suo armadio è un arcobaleno di colori o una palette monocromatica?
«C’è una decisa supremazia del total black: adoro le tonalià scure, i grigi, i neri. E, se per qualcuno può essere deprimente, per me è estremamente chic. Soprattutto quando il nero viene illuminato da tocchi di colore. Rosso, verde, turchese».
Deve andare a un appuntamento con un uomo. Che cosa indossa?
«Qualcosa che non sia troppo ovvio. Un paio di jeans, tacchi alti e una canottiera maschile. Per essere sexy bisogna lasciare ampio spazio all’immaginazione».
A proposito di immaginazione. Proviamo a prevedere il futuro. Tra 10 anni lei sarà...
«Spero altrettanto felice».
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