Il suo volto d’angelo l’ha fatta diventare un’icona di stile. Ma Jennifer Lawrence è nata per combattere. Nell’ultimo episodio di Hunger Games l’attrice deve sconfiggere le forze del male. Mentre a Grazia parla della sua battaglia affinché le donne siano pagate quanto gli uomini. E non solo a Hollywood
È tornata Katniss Everdeen, l’arciere senza paura di Hunger Games. E l’attrice che la interpreta, Jennifer Lawrence, usa le sue frecce per fare centro tre volte. Il primo colpo va a segno con il look. Tutti alla première berlinese di Il Canto della rivolta – Parte II, il capitolo finale della saga post-apocalittica, erano in estasi per la star: la sua silhouette è più sottile del solito, i capelli sono più biondi e lucenti, e lei è bellissima. E non importa se, durante l’intervista, ammetterà di essere stanchissima, di sentire gli effetti del jet-lag e di aver bisogno, per continuare con le domande, di un doppio espresso, che io mi affretto a ordinare tra mille risate di complicità. L’altro colpo va a bersaglio con i film in arrivo. Dal 19 dicembre vedremo nelle sale il quarto e ultimo episodio della serie Hunger Games, i giochi di combattimento sempre più violenti in cui i ribelli guidati dalla guerriera adolescente Katniss devono restituire la libertà al mondo di Panem. Ma dal 14 gennaio Jennifer Lawrence sarà protagonista anche in Joy, dove è per la terza volta accanto a Bradley Cooper, Robert De Niro e il regista David O. Russell, il dream team con cui ha girato Il lato positivo e American Hustle – L’apparenza inganna. E l’attrice, che ha lavorato in 11 titoli dal 2012, dice con un sorriso: «Sto invecchiando come il presidente». Ma non si vede.
L’ultima freccia è quella del malizioso Cupido, che in questi giorni semina gossip su un presunto flirt con lo stesso Bradley Cooper e sugli strascichi della love story con Chris Martin, il leader dei Coldplay che, seppur fidanzato ora con Annabelle Wallis, continuerebbe a mandare messaggi a Jennifer. Ma la diva è davanti a me e torniamo al clima avventuroso di Hunger Games, la serie che ha raccolto al botteghino più di 2 miliardi di dollari.
Lei è la protagonista della saga, Katniss Everdeen: che cosa ha capito del suo personaggio dopo quattro film?
«Che non puoi smettere mai di sacrificarti per gli altri. Lei è una ragazza che accetterà altre sofferenze, dolore e rinunce per portare a termine la sua missione e costruire un mondo migliore. Abbiamo cercato di non esaltare la violenza, ma di mostrare quanta abnegazione sia necessaria quando si è in guerra. Katniss conosce solo questa realtà che non ha scelto né voluto».
Il mondo scosso dalla brutalità dei fondamentalisti islamici dell’Isis si sta avvicinando allo scenario apocalittico di Hunger Games, sempre più violento, episodio dopo episodio?
«Di sicuro stiamo perdendo sensibilità umana e ci stiamo abituando alla violenza. Abbiamo superato ogni limite e serve uno shock sempre più forte per spingerci a reagire e a dire basta. Ma le somiglianze con il film non finiscono qui. I reality in televisione giocano un ruolo importante nella perdita di senso della realtà. Usiamo le persone per divertirci e abbiamo bisogno di metterle in situazioni sempre più eccitanti per il pubblico. Un po’ come in Hunger Games, dove i protagonisti sono impegnati in un gigantesco e spietato gioco in cui si combatte per uccidere. Se c’è un messaggio nel film è questo: il mondo diventa sempre più insensibile».
Com’è stato girare a Berlino?
«Adoro la città. Quando siamo arrivati, noi del cast sapevamo di essere ormai alla fine delle riprese, ci sentivamo rilassati e abbiamo cercato di divertirci. Nell’hotel alloggiavamo tutti sullo stesso piano, non chiudevamo a chiave le stanze ed è nata una specie di convivenza. Una notte Woody Harrelson mi ha svegliata e, facendomi segno di non far rumore, siamo usciti insieme e ci siamo fatti un giro in bicicletta. È stato fantastico, siamo andati in un posto all’aperto dove servivano birra e poi nel parco dietro lo Zoo di Berlino».
Ha fatto molto discutere la lettera aperta in cui lei ha denunciato la disparità di retribuzione nel cinema: i maschi guadagnano più delle donne.
«Per la precisione ho parlato di “quei fortunati con il c....”. È stata una dichiarazione non premeditata. La regista e attrice Lena Dunham, attivista femminista e autrice di una newsletter sui diritti delle donne, mi ha chiesto se volevo dare un contributo alla causa. Le ho detto che mi sarebbe piaciuto fare una denuncia scritta su una cosa che avevo scoperto. In quei giorni alcuni hacker avevano pubblicato su internet documenti riservati della mia casa di produzione in cui si rivelava che per girare American Hustle – L’apparenza inganna gli attori maschi avevano ricevuto una percentuale sugli incassi superiore a quella che avevo percepito io. Gli uomini vengono pagati più delle donne: non è giusto».
La reazione pubblica alla sua denuncia è stata enorme: come si è sentita?
«È stato uno shock. Scrivo due righe al computer, premo invio e quello che accade è un ciclone sui media. Però mi ha fatto piacere vedere che ho toccato un tasto dolente. Temevo che ci sarebbero stati fraintendimenti. In realtà non avevo alcuna intenzione di giocare al rilancio con la mia casa di produzione. Se dovessi tornare indietro, rifarei quel film per lo stesso cachet. Il problema, invece, è il modo di pensare tipicamente femminile che si celava dietro il mio comportamento. È comune a moltissime donne: ci sentiamo in colpa quando chiediamo lo stesso trattamento riservato ai maschi».
Lei è cambiata dopo quell’episodio?
«Certo, e da oggi non mi sentirò soddisfatta nelle trattative sul cachet fino a quando l’interlocutore non sarà stremato... Scherzo. Il punto non sono i soldi. Voglio crescere, migliorare come persona. E capire che non devo cercare sempre il consenso degli altri, ma fare quel che ritengo giusto per me. Non mi interessa se vi piaccio, datemi quel che merito. Tutto qui. E con il tempo sto imparando a non aver paura di dirlo. Va bene se mi pagano meno di un uomo, ma solo se lui è più bravo di me. E con questa lettera spero di aver fatto qualcosa di utile per tutte le donne. Non siamo destinate a essere vittime. Il fatto che abbiamo la vagina non autorizza nessuno a trattarci come prede. Abbiamo il diritto di alzarci in piedi, difendere le nostre ragioni e essere dure, quando è il caso».
Ma è giusto pagare uomini e donne allo stesso modo?
«Questo è l’obiettivo finale. Il primo passo, però, è denunciare il problema, riconoscere che esiste e discuterne. So di essere in una posizione sospetta perché guadagno un sacco di soldi (in effetti Jennifer Lawrence, secondo la rivista Forbes, è l’attrice più pagata di Hollywood, ndr) e qualcuno potrebbe pensare che non sia una portavoce credibile. Ma è giusto che ci sia la parità di trattamento. Le donne stanno facendo passi avanti, a furia di parlarne cambieremo la situazione».
Bradley Cooper ha detto che non aveva mai controllato i suoi contratti, ma che ora, dopo la sua lettera, lo farà perché ci sia più uguaglianza.
«Sono felice che Bradley lo abbia detto, è una persona straordinaria. E spero che altri seguano il suo esempio».
Presto uscirà Joy, un film molto atteso in cui lei è la protagonista insieme con Robert De Niro e lo stesso Cooper: è la storia della casalinga italo-americana Joy Mangano, diventata milionaria inventando la scopa autostrizzante Miracle Mop. Che cosa c’è di lei in questo personaggio?
«Molto poco. Però sono rimasta affascinata dalla personalità e dalle idee di Joy. Era una donna straordinaria, ma abituata a sacrificarsi, ad accantonare i suoi sogni per mettere in primo piano quelli degli altri. Poi è cambiata e il regista David O. Russell è stato abile nel mostrare come una persona possa evolvere e diventare un’altra. È la storia di un’anima. Joy si chiudeva in una stanza e creava un mondo immaginario per sfuggire a una realtà che la faceva soffrire, a cominciare dalla separazione dei suoi genitori. Inventava situazioni magiche per distrarre e divertire anche sua sorella. E a partire da quel momento seguiamo l’evoluzione della protagonista attraverso quattro generazioni della sua famiglia in una saga su amore, tradimenti, successo».
C’e qualche film che l’ha influenzata e fatta diventare quello che è?
«Mi hanno sempre affascinata le storie, non il cinema. Con i miei genitori non guardavamo film impegnativi ma pellicole per le famiglie come Mamma ho perso l’aereo e Un biglietto per due. Mi raccontano che da piccola rimanevo incantata dai racconti. Mio padre era uno straordinario narratore e io mi identificavo nelle persone di cui parlava. Volevo entrare nella testa della gente e così è nata la passione per la recitazione. Non perché andavamo ai cinema d’essai».
A proposito di famiglia, passerà il Natale con i suoi, nel Kentucky, o resterà a Los Angeles?
«Los Angeles è il luogo meno natalizio che si possa immaginare. No, tornerò dai miei e passeremo tutto il tempo a scacciare i rompiscatole che entreranno nel nostro giardino per chiedere l’autografo. Terribile. Al di là di questo, non vedo l’ora di rivedere i miei nipotini. Il più piccolo, Bear, ha 4 anni. Lui si aspetta che Babbo Natale gli porti i regali e noi ci daremo da fare per accontentarlo. Quando sentiremo arrivare la slitta trainata dalle renne, usciremo di casa per ricevere i pacchi dono».
Si metterà ai fornelli?
«Certo. Mia mamma prepara dei fantastici sformati di patate. Mescola un ingrediente piccante che conosce soltanto lei, aggiunge uno strato di formaggio alto così e io metto il piatto in forno. Questo è il mio contributo in cucina».
Lei è una persona piena di energia, perfino dopo un lungo viaggio e con il jet-lag. Da dove arriva tutto questo entusiasmo?
«Sono giovane, ma ho capito che nella vita non bisogna avere solo certezze. Serve il coraggio di guardarsi allo specchio e di farsi delle domande. Questo è l’unico modo per crescere. E poi so che cos’è la solitudine. Me ne sono andata da casa a 14 anni e ho vissuto per molto tempo a New York senza avere nessuno accanto. Mi sentivo una povera fanciulla spaventata. Ma crescere così mi ha resa più forte. E perfino più allegra».
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