Da ragazzina ho molto amato Il diario di Anna Frank. Il racconto della tredicenne ebrea olandese, scritto con la delicatezza di una bambina, è stato il mio iniziale incontro con la storia dell’Olocausto.

Da ragazzina ho molto amato Il diario di Anna Frank. Il racconto della tredicenne ebrea olandese, scritto con la delicatezza di una bambina, è stato il mio iniziale incontro con la storia dell’Olocausto.
Quando sono andata per la prima volta ad Amsterdam, mi sono fermata al numero 263 di Prinsengracht, all’alloggio segreto dove Anna rimase nascosta assieme alla famiglia per sfuggire ai nazisti.
Quarantotto ore prima della Giornata della Memoria, lo scorso fine settimana, su un muro di Roma è comparsa la scritta “Hanna (con un’acca di troppo n.d.r.) Frank bugiardona”, firmato con una svastica. Quelle parole scritte da negazionisti vigliacchi e teste vuote sono state un pugno nello stomaco perché ripetono la tesi, troppe volte avanzata, che quel diario sia un falso.
Una lettrice di Grazia, Stefania Liquori, mi ha scritto una lettera di complimenti, che conteneva però anche una critica seria: non avete scritto neanche un rigo sulla Giornata della Memoria. Come avete potuto dimenticare?
Cara Stefania, ne abbiamo parlato, ma lateralmente, con articoli su due film sulla Shoah, ed era troppo poco. Abbiamo sbagliato. Avremmo dovuto ribadire e mantenere vivo il ricordo dell’orrore, anche contro le scritte antisemite e le teste di maiale recapitate alla sinagoga romana.
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