Il doppio di Hillary
Ero una cronista alla convention democratica di Denver, in Colorado, quando il 26 agosto 2008 Hillary Clinton, candidata perdente, fece il discorso della sconfitta concedendo i suoi voti al vincitore del suo partito: Barack Obama.
Ero una cronista alla convention democratica di Denver, in Colorado, quando il 26 agosto 2008 Hillary Clinton, candidata perdente, fece il discorso della sconfitta concedendo i suoi voti al vincitore del suo partito: Barack Obama.
Come tanti che là in mezzo brandivano piangendo cartelli con scritto: “Solo Hillary può avere il mio voto”, ero una sua fan e mi commossi alle sue parole finali. «In America si continua sempre ad andare avanti, noi siamo americani», disse. «Non siamo bravi ad abbandonare la corsa». Da allora la corsa, con la resilienza tipica delle donne, Clinton non l’ha mai abbandonata. Sinceramente spero che vinca le prossime elezioni americane e che con la sua vittoria finisca un’epoca. Terminino, cioè, gli anni delle quote rosa sancite o sottintese, gli anni dei ritornelli demagogici: «Nominiamo una donna», «Mettiamo le donne nei posti di potere», «Diamo loro la possibilità di comandare perché possono farlo bene».
Mi auguro invece che comincino gli anni in cui si guarderà a uomini e donne allo stesso modo come candidati paritari a posti di potere, senza la necessità di dover proteggere le prime perché non ci saranno più differenze. Del resto a capo della prima potenza europea, la Germania, c’è una donna; a capo del Fondo monetario internazionale anche; e pure alla testa di due dei giornali più influenti del mondo, l’Economist e il Guardian.
Sono tutte signore di valore che, probabilmente, hanno faticato il doppio degli uomini per arrivare. Ecco, io credo che il ciclo sarà compiuto solo quando una donna conquisterà il potere senza dover dimostrare più
dei suoi colleghi maschi.
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