Honayda, la stilista del riscatto delle saudite
La stlista Honayda viene dall'Arabia Saudita, il più conservatore dei Paesi islamici e ha presentato la sua rivoluzione di moda alla Paris Fashion Week. Grazia l'ha incontrata
«Guarda, adesso è così. Questa situazione, soltanto qualche mese fa non avrebbe potuto verificarsi, per nulla al mondo». La stilista saudita Honayda agita i capelli corvini e mi passa il suo smartphone: un breve video mostra una donna poliziotto dirigere il traffico accanto a un collega maschio, nel cuore di Jeddah.
Da qualche mese, l’Arabia Saudita si è aperta a una serie di fondamentali cambiamenti sociali che hanno rivoluzionato la condizione delle donne nel Paese, grazie al principe Mohammed Bin Salman. L’ultimo passo in avanti ha riguardato la concessione del visto d'ingresso alle donne single, che potranno entrare per turismo in Arabia Saudita senza essere accompagnate da un uomo, come previsto finora.
Honayda ha accolto con entusiasmo questi cambiamenti, trasformazioni che, attraverso la sua arte creativa, ha costantemente difeso. La stilista è a Parigi per la Fashion Week, il suo défilé ha appena avuto luogo negli eleganti saloni dell’hotel Westin, a due passi da place Vendôme, tra affreschi e colonnati in stile impero. Qui hanno sfilato le sue superbe modelle, con lunghi abiti colorati e mise ispirate alla leggendaria regina di Saba.
«Tutti i mie abiti hanno un denominatore comune, vogliono spronare il woman empowerment (“l'avanzamento della donna”, in inglese, ndr). Desidero che le donne prendano coscienza del proprio potere e delle proprie capacità, voglio che possano esprimersi e trovare il posto che meritano all’interno della società». È all’Unesco, l'Agenzia dell'Onu per l'educazione e la cultura, che Honayda presenta i suoi discorsi per l’affermazione delle donne nel suo Paese e in tutto il Medio Oriente. Ed è nel suo atelier che la sua missione di valorizzare la dimensione femminile prende forma.
«Sono sempre stata appassionata di moda, fin da piccola. Con i miei genitori ho viaggiato in tutta l’Arabia Saudita, spesso in regioni lontane da Jeddah o da Riyad. Mi sono presto resa conto che, nei villaggi rurali, le donne avevano il volto scoperto e indossavano abiti colorati, ricchi di tonalità e ricami: questi abiti non avevano nulla a che vedere con la severità dell’abaya, la lunga tunica nera imposta alle donne arabe. I miei primi modelli sono dunque stati ispirati proprio a questi vestiti tradizionali, per mostrare che la donna araba non è solo una creatura sottomessa e nascosta dietro a un capo che ne censura il volto e le forme, ma ha ben altro da esprimere».
Tra i cambiamenti più rivoluzionari negli ultimi tempi c’è stato sicuramente il diritto acquisito dalle donne di mettersi finalmente al volante. «Quando l’ho saputo ero fuori di me dalla gioia, ho deciso di celebrare questo fatto storico con una capsule collection ispirata al mondo delle auto». Honayda si è messa al lavoro sfoderando tutta la sua creatività: dettagli attinti alla meccanica, stampati ispirati a cartelli stradali, targhe o strumenti di bordo, o ancora completi immacolati che ricordano le tenute sportive dei piloti da corsa. La capsule collection di Honayda in omaggio al diritto delle donna a guidare è già un successo in Medio Oriente. «Non vendo vestiti, vendo un’idea, gli abiti per me sono occasioni per documentare la storia. E la storia, nel mio Paese, è molto stimolante in questo momento».
Ma perché proprio ora sull’Arabia Saudita comincia a spirare un vento di modernità? «Per una questione demografica. Molti media stranieri hanno ipotizzato che la monarchia voglia rendersi più “gradevole” all’estero con queste riforme a fini di business, ma non è così. Il nostro principe, Mohammed Bin Salman, ha preso atto del fatto che il 70 per cento della popolazione è sotto i 50 anni, ha avvertito che tutta questa gioventù era in fermento e voleva lui stesso essere parte del cambiamento. Ne aveva il potere e lo ha fatto. Una nazione senza opportunità di lavoro per le donne è una nazione che non può crescere».
E i progetti per il futuro? «Una parte dei profitti del mio marchio va a una causa: poter aiutare le mie connazionali a divorziare quando è necessario. Le sostengo, inoltre, perché ottengano un supporto economico per rendersi autonome. Ho poi un’altra ambizione a cui tengo particolarmente: poter sviluppare nel mio Paese l'attività manifatturiera e impiegare le mie connazionali. Attualmente, non esiste in Arabia un alto livello di manodopera femminile qualificata né nel settore del cucito, né in molti altri settori. Voglio organizzare corsi di formazione perché le donne imparino questa bellissima forma di artigianato e perché la produzione dei miei vestiti possa avvenire nel mio Paese. Con l’apertura che si sta attuando, sono sicura che tutto questo sarà presto possibile».
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