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Ci vuole una fiction per farci aprire gli occhi

Ci vuole una fiction per farci aprire gli occhi

foto di Camilla Baresani Camilla Baresani — 30 Maggio 2016


È partita la seconda stagione e subito sono iniziate le polemiche. Per alcuni, Gomorra esalta il crimine e dà un ritratto sbagliato di Napoli. Ma qui una scrittrice spiega che, al contrario, è istruttiva e positiva per l’immagine del Paese. Come insegnano le migliori serie americane
Gomorra-sky-atlantic

La saga dei Savastano, Pietro e suo figlio Genny, e dei loro rivali, Ciro Di Marzio e Salvatore Conte, si sta inoltrando lungo gli episodi della seconda stagione, in onda il martedì sera su Sky Atlantic. E oltre che ottimi ascolti, genera polemiche su polemiche.

Gomorra è un esempio negativo? Affascina i giovani spingendoli verso il mondo del crimine? Dà un’immagine non veritiera di Napoli, tralasciando di descrivere i molti personaggi positivi che pure vi abitano, a partire dai componenti delle forze dell’ordine? Allontana turisti italiani e stranieri perché fa sembrare Napoli nient’altro che una livida e sfasciata galera a cielo aperto? Per esempio, lo scrittore Giuseppe Montesano ha commentato su Il Mattino, quotidiano di Napoli: «Ci vorrebbe una rappresentazione mediatica della camorra finalmente libera dalla spettacolarità che serve solo a vendere, e in cui gli aspiranti camorristi si rispecchiano gaudenti ed esaltati».

Ma andiamo! In Gomorra è tutto così brutto, tragico, disgraziato, ferale (tra una sparatoria e l’altra muoiono sempre tutti) che, se un “aspirante camorrista” si esalta e sogna di emulare le vite dei protagonisti, il problema non è nella serie televisiva, ma risiede dentro di lui. Su tutti gli altri, cioè sulla grande massa dei non aspiranti camorristi, Gomorra agisce ben diversamente. A me, per esempio, ha fatto ragionare sul contagio delinquenziale quasi inevitabile in certi quartieri e in certe famiglie, su come sia facile corrompere e rovinare per sempre un bambino, sull’immane compito che spetta a un genitore onesto che per sua sventura abiti a Scampia, a Secondigliano, o in quartieri simili.


In realtà, credo che, grazie alla profonda conoscenza della materia dell’ideatore della serie, Roberto Saviano, Gomorra sia particolarmente istruttiva. Per noi che siamo digiuni di crimine organizzato, di traffico internazionale di droga e armi, di corruzione e vita precaria da latitante, questa serie è un viaggio antropologico che ci apre gli occhi sulla realtà con gli strumenti della fiction e ci permette di approfondire riti, gusti, stili, meccanismi, stratagemmi di qualcosa che ci è lontanissimo benché sia geograficamente assai vicino.

Quanto a chi si preoccupa dell’immagine dell’Italia e di Napoli, bisogna dire che nel mondo contemporaneo, a livello di immagine conta di più produrre una serie ritenuta eccellente in tutto il mondo, e venduta in decine di Paesi, che imbellettare l’esistenza del crimine organizzato.

Del resto, se gli Stati Uniti sono il Paese più influente nel campo dell’intrattenimento cinematografico e televisivo, lo sono anche perché non hanno mai smesso di creare storie in cui si descrive un’America di poliziotti corrotti, di criminali che spadroneggiano, di gang che impediscono alla polizia di entrare nei quartieri, di politici corrotti, addirittura di assassini che diventano presidente degli Stati Uniti. Dopo aver visto Scarface, Pulp Fiction, Homeland, House of Cards abbiamo forse smesso di sognare una vacanza negli States e di pensare che sono un grande Paese?

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