«Filippo Turetta non è un eroe romantico»: l'editoriale di Silvia Grilli
Mi amareggiano le cronache dal carcere su Filippo Turetta, l'assassino di Giulia Cecchettin. Il racconto delle sue lacrime, la descrizione dei fazzolettini di carta accartocciati dopo l’incontro con i genitori, la narrazione della premura degli altri detenuti che nascondono i giornali per non fargli vedere le notizie o cambiano canale quando si parla di lui. Non capisco perché vogliano farmi sapere se ha dormito, se ha mangiato, se ha sognato, che cosa ha letto, che cosa sta studiando, se ha raggiunto un equilibrio. Vi confesso che mi disturba anche quando lo chiamano “Filippo”, come se fosse un amico o un parente. Ma soprattutto mi sconvolge leggere le sue confessioni, quando ha ancora il coraggio di dire che lui l’amava...
Mi fa male tutta questa empatia e il romanticismo attorno a un assassino. Turetta non è un eroe romantico: ha inferto più di 20 coltellate all’ex fidanzata, mentre lei cercava di difendersi. L’ha lasciata morire dissanguata, poi ha abbandonato il cadavere sulle sponde di un lago ed è scappato. Perché mai dovremmo calarci nella sua pelle e tentare di capirlo?
Giulia Cecchettin ci aveva provato, a comprenderlo. Ha avuto pietà per lui, quando minacciava di uccidersi perché lei lo aveva lasciato. È andata all’appuntamento, gli ha pagato l’ultima cena e lui l’ha massacrata. Turetta ha raccontato che gli è scattato qualcosa in testa. Il suo avvocato cercherà sicuramente di percorrere la strada della perizia psichiatrica: la difesa fa il suo mestiere, anche se non ci sono pregresse diagnosi di malattie mentali. Intanto, però, sui social e nelle nostre case è partito il dibattito: è malato; no, è un figlio sano del patriarcato. «Io mio figlio l’ho educato al rispetto», ha detto il padre di Turetta. Mi spiace tanto per quella povera madre e quel povero padre, ma non basta dire questo per salvarsi. Il rispetto parte dalla parità tra i sessi in casa, fuori casa, nel lavoro.
C’è questa parità? A casa loro non lo so, ma so bene che in Italia non c’è. Alle donne è stato insegnato che devono accudire e che non se ne possono andare. Per un ragazzo è ovvio pensare che quella ragazza sia una sua proprietà. Per una ragazza è ovvio pensare che lui la ami tanto perché le controlla il cellulare. Perciò, se vogliamo parlare di malattia mentale, diciamo: sì, è un’epidemia nazionale. E il romanticismo che circonda “Filippo” dal suo rientro con aereo privato dalla Germania è parte della patologia. Non scrivo questo perché vorrei rinchiuderlo a vita buttando via la chiave della cella. No, le carceri in teoria sono fatte per rieducare, non per seppellire. Ma la rieducazione va fatta a tutti, anche a chi scrive le cronache che riabilitano l’assassino. Abbiamo bisogno di altri racconti per cambiare la mentalità di questi ragazzi, ragazze e anche la nostra. Lo scatto nella testa di Turetta è il colpo di coda di un uomo che si sente rifiutato e fa l’unica cosa che può ancora fare. Uccide la donna che non si sottomette. Lui ha lasciato morire dissanguata Giulia Cecchettin perché pensava di avere un motivo valido per farlo.
Vi dico la verità: scrivere di questi argomenti su ogni numero di Grazia è sfiancante. E penso sia anche difficile da accettare per chi legge, perché non è bello rendersi conto pienamente di quanto si è oppresse. Ma forse è un lavoro necessario.
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