«Mi permetta vostro onore, che cos'è per lei una ragazza "disinvolta"?»: l'editoriale di Silvia Grilli
Permettetemi, signore e signori della legge: dov'eravate quando Celine Frei Matzohl, ritrovata straziata di coltellate il giorno del suo ventunesimo compleanno, aveva denunciato il suo assassino Omer Cim per percosse e minacce?
Perché la Procura della Repubblica di Bolzano ha registrato la querela, ma non ha fatto nulla? Se siamo tutti uguali davanti alla legge, perché non siete intervenuti per evitare un femminicidio?
Dov'eravate, signori giudici, quando Anna Scala, uccisa il 17 agosto dall’ex compagno con un
coltello per disossare il prosciutto e lasciata nel bagagliaio della sua auto, aveva denunciato per maltrattamenti e stalking il suo ex Salvatore Ferraiuolo? Le querele erano arrivate subito alla Procura della Repubblica di Torre Annunziata, diretta da Nunzio Fragliasso. Il Codice rosso prevede un’accelerazione contro i reati di violenza di genere e impone alla magistratura d’intervenire entro tre giorni per tutelare la donna. Perché non è stato vietato allo stalker di avvicinarsi a lei? Perdoni la mia impertinenza, dottor Fragliasso, ma una Procura come può giustificare la propria negligenza sostenendo che non c’era tempo per agire e non c’erano neppure tracce di violenze precedenti? E lasciamo stare il codice, dottor Fragliasso, ma lei ha moglie? Ha figlie? Ha figli? Che cosa è per lei la violenza? Può farmi un esempio?
Mi piacerebbe vedervi in faccia, signori giudici. Anche voi che scrivete nella sentenza di uno stupro di gruppo fuori Firenze che "è accertato che ci siano stati degli atti sessuali non pienamente voluti", eppure avete assolto gli imputati. Poverini, quei ragazzi avevano frainteso "l’apparente disinvoltura di comportamento" della compagna di scuola delle superiori. Avrei voluto davvero guardarvi, quando affermavate che le dichiarazioni della vittima avevano "scarsa attendibilità" e che gli accusati, "condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile, hanno errato nel ritenere sussistente il consenso. Una condotta certamente incauta”.
"Incauta"? La ragazza supplicava i tre compagni di classe di smetterla di accanirsi su di lei, cari giudici. Levava le loro mani dal suo corpo. Per il trauma non è riuscita a terminare la scuola, abbandonata all’ultimo anno senza diplomarsi. È assistita da psicologici, mentre gli imputati sono stati assolti. Ditemi per favore quale concezione avevate VOI del genere femminile, mentre scrivevate sul verdetto che i giovani avevano frainteso "l’apparente disinvoltura".
Chi siete, Vostri Onori? Non inquietatevi, ma avete figlie, figli? Come li educate? Che cosa è per voi una ragazza "disinvolta"? O forse avete usato un sinonimo per non scrivere l’insulto che appare più spesso accanto ai nomi di donna sui muri delle città italiane? Andavo ancora al liceo quando sulla parete esterna della mia scuola comparve la scritta con il nome di una mia amica e accanto l’epiteto "T....". Siamo ancora messi così.
Le leggi ci sono, ma non sono applicate. Nella maggioranza dei casi le forze di polizia non sono preparate, così come non lo è la magistratura.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo continua a condannare l’Italia per l’incapacità di contrastare la violenza contro le donne. Già nel maggio 2021, Strasburgo aveva stigmatizzato la Corte d’Appello di Firenze per l’assoluzione degli imputati in uno stupro di gruppo alla Fortezza da Basso. Lo Stato italiano ha dovuto risarcire (troppo poco) la vittima perché la sentenza era stata emessa con motivazioni piene di pregiudizi contro di lei. Per esempio: gli indagati avevano intravisto che lei aveva gli slip rossi... Lei li aveva perciò provocati... Vorrei conoscere i vostri nomi, cari giudici che non capite che consenso è dire: «Sì».
Ma in realtà siete semplicemente come noi. Tutti noi non siamo preparati. La violenza è un problema culturale. I femminicidi e gli stupri non sono episodi di cronaca nera, ma il risultato della cultura della violenza in una società dove le donne vengono stuprate e uccise dagli uomini. L’assassino siamo noi ogni volta che tolleriamo la sopraffazione, quando pensiamo che un gesto feroce nasconda in realtà la passione, ogni volta che davanti a uno schiaffo minimizziamo: «Che sarà mai?».
Siamo noi quando sosteniamo che se l’è andata cercare, chissà che poco di buono era, non avrebbe dovuto bere e fumare, chissà quali messaggi gli ha mandato. L’assassino siamo noi ogni volta che condanniamo solo quando la vittima finisce nella bara.
Cari magistrati, care forze dell’ordine, qui in Italia non ci vogliono grandi indagini per scoprire il colpevole. Da noi non ci sono molti serial killer mascherati che stuprano e uccidono. Qui da noi il violentatore, l’assassino lo conosciamo bene: è il marito, il vicino, il fidanzato, il collega, il compagno di scuola. Perché la cultura della violenza siamo noi.
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