Elodie: «Io sono istinto, rabbia amore assoluto»
Che canti, che balli, che parli, che ascolti, ricorda uno di quei misteriosi vasi giapponesi, Elodie.
Vasi che si rompono e che allora vengono affidati all’antica arte del “kintsugi” e riparati con una resina cosparsa di polvere d’oro. Magari poi si romperanno di nuovo e di nuovo verranno riparati con l’oro e intanto, fatalmente, saranno sempre più preziosi, ognuno di loro uguale solo a se stesso.
Sono appena finite le riprese del suo esordio da protagonista sul grande schermo, in Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa.
Il suo ultimo singolo uscirà in marzo, con un videoclip diretto dai Morelli Brothers, autori anche di questo servizio fotografico per Grazia.
E allora cominciamo da lì, dove tutto, prima di ripararsi con l’oro, si è rotto per la prima volta. Cominciamo da quella bambina che cresceva in una borgata di Roma, Quartaccio, con una madre bambina pure lei, con la Guadalupa nel sangue e bellissima, un padre sognatore che imbastiva spettacoli per la strada e una sorella più piccola, Fey. Una famiglia dove, insomma, di adulto non c’era nessuno.
Qual è il tuo primo ricordo?
«Delle perline colorate che avevo trovato all’asilo e mi nascondevo nelle calze, perché me le volevo portare a casa».
È un ricordo che non ha a che fare con la tua famiglia.
«Ha a che fare con qualcosa che per me è ancora fondamentale. Giocare. Anche per lavoro, non a caso, faccio questo: gioco».
Se la tua infanzia avesse un sapore, quale sarebbe?
«Ce l’avrebbe aspro».
Quando ti sei resa conto che i tuoi genitori oltre a essere tua madre e tuo padre erano le persone che sono?
«Prestissimo. A me è interessata sempre e solo la verità degli esseri umani che incontro, appena entro in una stanza comincio subito a osservare le facce, a cercare di capire le intenzioni che stanno dietro ai gesti».
Perché sei molto curiosa o perché hai la tendenza a controllare?
«Sicuramente sono una maniaca del controllo, anche perché fin da quand’ero piccola il ruolo della capofamiglia è andato a me: dovevo occuparmi di mia sorella, ma un po’ anche dei miei genitori, appunto. O comunque dovevo accettare che loro potevano occuparsi di me solo fino a dove arrivavano. Al di là di questo, comunque, non capisco chi ha paura della verità. Ma di che cosa avete paura? Non vi spaventa di più non sapere chi è una persona, che cosa ha in testa? A me sì».
E chi erano, quell’uomo e quella donna che chiamavi mamma e papà?
«Mio padre era un bravissimo chitarrista, un uomo che voleva a tutti i costi avere dei figli, una volta da piccola l’ho abbracciato fortissimo e gli ho urlato: “Papà, grazie che mi hai fatta nascere!”. Lo sentivo che il desiderio era stato soprattutto suo. Mia madre aveva 20 anni, era piuttosto smarrita. Infatti fra loro non è durata».
Quanti anni avevi quando si sono separati?
«Otto».
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Testo di Chiara Gamberale - foto di Morelli Brothers - Styling di Ramona Tabita
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