Una società che cerca di invertire gli effetti dell’inquinamento, tra cui una cronica infertilità. Fondamentalisti che prendono il potere e cancellano ogni diritto. Donne messe ai margini della società o ridotte in schiavitù a fini riproduttivi. La libertà come tesoro da proteggere e, soprattutto, da riconquistare.
È incredibile come i temi di attualità oggi nel nostro mondo facciano parte della realtà distopica della serie di culto The Handmaid’s Tale, tratta dal libro Il racconto dell’ancella della scrittrice canadese Margaret Atwood e in arrivo su TimVision con la quarta stagione.
Nella storia le “ancelle” sono le donne sottomesse al solo scopo di dare figli ai loro padroni e la più famosa ha il volto dell’attrice e regista Elisabeth Moss.
È lei June Osborne, ribattezzata “Difred” (Fred è l’uomo che la considera di sua proprietà), divenuta negli anni l’emblema di un’esasperata lotta per la sopravvivenza, ma anche il motore di una vera e propria rivoluzione contro chi considera le donne oggetti senza alcun diritto, nemmeno quello di parola.
I punti di contatto tra la trama e la realtà che molti Paesi vivono ancora oggi sono tali che la tunica rossa delle ancelle della serie è stata indossata come un grido provocatorio in diverse proteste e manifestazioni femministe in tutto il mondo: dagli Stati Uniti alla Polonia.
«Io cerco solo di raccontare vicende autentiche», mi dice Moss, 38 anni, quando la telecamera di Zoom si accende sul suo profilo, sotto cui campeggia il diminutivo “Lizzie”.
È una donna minuta, silenziosa, educata e pacata, con una voce calma e dolcissima, restia a parlare della sua vita privata, dei due Golden Globes o dell’appartenenza alla controversa organizzazione religiosa Scientology.
A Elisabeth piacciono da sempre i ruoli di donne forti che vogliono far sentire la propria voce e perseguono traguardi e obiettivi con sacrificio, sfidando ogni sottomissione. Era così la sua Peggy Olson, la segretaria di Mad Men, la serie che meglio ha raccontato la fatica di frantumare il maschilismo dell’America a cavallo tra gli Anni 50 e 60.
Lo era anche a suo modo la sedicenne Polly Clark di Ragazze interrotte, film del 1999 in cui accanto ad Angelina Jolie e Winona Ryder Moss interpretava la giovane vittima di un incidente che l’aveva sfigurata.
Due anni fa in Le regine del crimine l’abbiamo vista ribellarsi nella maniera più cruda a una relazione tossica con un manipolatore, mentre nel recentissimo L’uomo invisibile il suo personaggio, Cecilia, scappa da un marito aguzzino.
Ma per lei è The Handmaid’s Tale il lavoro della vita, dato che in questa quarta stagione, oltre a essere protagonista, è anche produttrice esecutiva e regista.
«Non voglio anticiparle nulla, ma il terzo episodio è forse il mio preferito di tutta la serie», mi dice con soddisfazione citando una delle puntate da lei dirette proprio durante la crisi da Covid-19.
Com’è stato dover girare in piena pandemia?
«Con tutto il cast si è creata una sorta di bolla fatta di tamponi continui, di quarantene e di rispetto di tutte le regole imposte per evitare i contagi. Fortunatamente siamo riusciti ad andare avanti ai ritmi che ci eravamo prefissati, seppur con un numero molto limitato di addetti al set. Per alcune scene ci sono state soltanto due persone in una stanza».
La serie ha incredibili similitudini con la realtà. Racconta un mondo reso infertile da radiazioni e coltivazioni intensive e dominato da un gruppo fondamentalista che riporta la società al patriarcato biblico. Torna la schiavitù, le donne perdono ogni diritto. È solo immaginazione o è ciò che stiamo rischiando oggi?
«Rileggo spesso il romanzo di Margaret Atwood su cui è basata la serie. Stiamo parlando di un libro uscito nel 1985, ma che era rilevante allora quanto oggi. Una volta l’autrice mi ha detto di non aver parlato di nulla che non si fosse realmente verificato ed eccoci qui, molti anni dopo, a vivere sulla nostra pelle quello che lei ha scritto quasi 40 anni fa».
L’infertilità, ora che quella maschile è in crescita, è un altro tema tornato d’attualità.
«I personaggi della serie non sono altro che persone come noi. Sono madri, sono padri, sono amici, fratelli, sorelle, nemici. Siamo noi. E il motivo per cui questa serie offre così tanti spunti di immedesimazione è proprio perché affronta temi che segnano ogni giorno le nostre esistenze».
Continua a leggere l'intervista a Elisabeth Moss sul numero 19 di Grazia ora in edicola
Testo di Federica Volpe da Los Angeles - foto di Thomas Whiteside
© Riproduzione riservata