Eleonora Abbagnato: la farfalla che balla la breakdance
È una stella della danza e il direttore dell’Opera di Roma. Eleonora Abbagnato racconta a Grazia l’emozione della sua nuova vita. Che include l’hip hop, tanti bambini e il latte materno
Questa è un’intervista in due tempi. Il primo è a passo di danza e risale a luglio, quando ho incontrato Eleonora Abbagnato in una versione decisamente imprevedibile. Lei ballerina classica, étoile dell’Opéra di Parigi, direttore del Corpo di ballo dell’Opera di Roma. Lei, filiforme e diafana, eterea persino nel modo di stringerti la mano. Lei, la farfalla, era alle prese con un gruppo di breakdancer. Per la precisione, con i migliori b-boy del pianeta: i Red Bull Bc One All Star, riuniti a Bracciano, in provincia di Roma, per un workshop estivo. Dodici superstar, nel mezzo di un luglio caldissimo, sotto esame in uno stage di danza classica. Docente: Eleonora. Il risultato? A tratti comico, con energumeni che tentavano di tenere la “prima posizione” o di saltellare sulle punte. Comunque affascinante: una commistione di stili, una contaminazione di passioni. Uno scambio di consigli e di sguardi. Con i b-boy che provavano un volteggio, mentre l’étoile sperimentava strane manovre su una musica non sua, che batteva contro i timpani e le pareti.
Eleonora aveva la faccia di chi si diverte davvero: «Mi aspettavo una grande energia. Ma così tanta, tutta in una volta, credo di non averne mai vista. Io sono abituata a danzare nel rigore totale, ad allenarmi nel silenzio assoluto, ad addestrami al movimento perfetto. Qui vige la regola del “rompete le righe”, il culto dell’improvvisazione. È magnifico. È esaltante». Quando l’ho lasciata, con la promessa di un nuovo appuntamento, Eleonora era ancora alle prese con quello strano incontro fra mondi diversi: la strada e il palco che provano a parlarsi, da vicino.
Abbagnato, parte seconda. Questa volta l’étoile, 37 anni, è nei panni di direttrice del Corpo di ballo dell’Opera di Roma, dove sta per debuttare il suo primo allestimento, Giselle, il balletto che sarà in scena fino al 27 ottobre.
Emozionata?
«Moltissimo».
Fra un’Opera di Roma e un’ Opéra di Parigi riesce a essere anche madrina dello Human Milk Link, un progetto molto innovativo per la raccolta a domicilio di latte materno, da donare ai bambini nati prematuri.
«Non sapevo che fosse possibile regalare il proprio latte. Quando mi hanno proposto di diventare testimonial di Human Milk Link, ho pensato che fosse un’idea straordinaria, un piccolo gesto di grande valore».
Lei ha due figli: Giulia, 3 anni, e Gabriel, 9 mesi.Li ha allattati a lungo?
«Oh, io avrei allattato a oltranza, per mesi, per anni. È un’esperienza unica: intima, gratificante. Ma ho dovuto smettere presto. Con Gabriel ho lasciato che lui aveva solo 3 mesi e mezzo. Stavo per tornare a danzare, avevo un progetto importante con l’Opéra di Parigi».
Un distacco difficile?
«È stato un passaggio, non uno strappo. Io e Gabriel eravamo preparati, avevo cominciato a introdurre piano piano il latte artificiale. Certo è stato un grande cambiamento, dopo così tanti mesi uno attaccato all’altra. Anche sulle punte».
Sulle punte?
«Ho danzato fino a 4 mesi prima del parto. Nessuno sapeva che io fossi incinta e quando ho annunciato che avrei dovuto staccare perché stava arrivando Gabriel, sono rimasti tutti sorpresi».
Quanti chili aveva preso?
«Pochissimi».
Danzare portando in grembo un figlio. Deve essere stata un’esperienza fisica ed emotiva fortissima.
«Fisicamente non avvertivo grandi differenze: ero forte, stavo bene. Emotivamente è stato tutto molto intenso».
Eleonora, quanto si sente cambiata da quando è mamma?
«Per niente. E completamente. Non sono cambiata perché mi sono sempre sentita molto mamma, anche prima di avere bambini. Quando è nata Giulia, la mia primogenita, io vivevo già con le figlie di mio marito (Federico Balzaretti, 33 anni, dirigente della Roma Calcio, ndr). Lucrezia e Ginevra, di 10 e 7 anni, facevano parte della mia vita. Certo, alla nascita di Giulia e Gabriel la cosa si è fatta più impegnativa, più complicata. E piena, anche d’amore ovviamente».
Quattro bambini, due lavori. Mai una tregua?
«La tregua c’è ogni sera, quando torno a casa. I bambini mi saltano addosso, sono felici, vogliono giocare».
Non mi dica che lei ha voglia di giocare, dopo un giorno di lavoro e di allenamento fisico.
«Desidero stare con loro, qualsiasi cosa vogliano fare. Mi piace, mi distrae, mi fa chiudere il mondo fuori dalla porta e mi costringe a pensare ad altro».
Adesso è anche direttore artistico. Che effetto le fa essere dall’altra parte del palco.
«Io sono e sarò sempre una ballerina. Per questo riesco a capire meglio e più profondamente i bisogni di chi lavora con me. Conosco bene i problemi di chi danza: le ansie, le arrabbiature, i dubbi, le speranze».
Qual è la parte più difficile dell’essere una ballerina?
«Il giudizio. Sei sottoposta a uno sguardo continuo, che non molla neanche un tuo gesto, neppure un dettaglio. Devi rispondere di ogni millimetro di te».
Come si impara a reggere questo sguardo?
«Con la consapevolezza di sé. Il ballo non è solo “corpo”. È anche, e soprattutto, “mente”. È lei che domina e guida ogni cosa».
E il cuore?
«Il cuore è tutto. Io senza l’amore dei miei bambini non ce la farei».
Eppure lei, da sola, ce l’ha fatta: per molti anni. Se ne è andata da Palermo poco più che bambina per studiare danza a Parigi. E lì è rimasta: sola. Se l’aspettava, cinque anni fa, una vita così piena di figli?
«Certo. La volevo. La volevo tantissimo».
Di che cosa non può più fare a meno, oggi?
«Dei figli. Del loro corrermi incontro. E dirmi: “Ci sei mancata, non andare più via, non andar più a ballare”. Io sono un’emotiva, basta poco a tirarmi dentro».
Ma lei non si sente in colpa quando i bambini le dicono: “Non andar via”?
«No, perché dovrei? Il ballo è una grande passione. Ma è il mio lavoro. È dovere, non solo piacere. E poi lo so che saranno tutti fieri di me. Le grandi lo sono già. Mi vengono a vedere quando danzo, fanno il tifo per me. E a casa, mi rubano “le punte”».
Prima di lasciare Eleonora le chiedo dove risieda la sua forza. «Nel fatto che siamo sempre tutti insieme», dice. «Siamo una grande famiglia. Stiamo il più possibile uniti, cerchiamo di non mollarci mai. E, se dobbiamo farlo, aspettiamo solo il momento di ritrovarci».
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